#ROMAFF15: Herself – La vita che verrà, la recensione

herself

Herself (trailer) di Phyllida Lloyd, presentato alla Festa del cinema di Roma, è un film sulle donne e per le donne, una denuncia sul grande schermo contro la violenza raccontata attraverso la storia di una madre che soffre e lotta per lei e per dare un futuro migliore alle sue figlie. La storia di Sandra (Clare Dunne) è quella di una donna che ha denunciato, che dopo aver tentato più volte di scappare e non esserci riuscita, dopo aver subito l’ennesima violenza, riesce, con il prezioso aiuto delle figlie a liberarsi dalle grinfie di un uomo abituato a considerare normale picchiare e abusare della moglie.

La scelta della Lloyd è quella di raccontare le difficoltà di una donna che ha detto basta, una donna che sente il forte bisogno di riprendere in mano la propria vita a qualsiasi costo, spezzandosi la schiena facendo più lavori, non facendo mancare nulla alle figlie che, insieme alla madre, sono costrette a vivere in un hotel, in attesa di ricevere dallo stato l’aiuto più grande, quello di una nuova casa. Uno stato che però c’è sempre meno e che porta Sandra a prendere una decisione rischiosa ma vitale: se la casa non arriva, bisogna costruirla.

Può sembrare assurdo ma è proprio questo quello che fa di Sandra un’everyday – wonder woman, una definizione che forse non si è mai sentita ma è quella che riesce a rappresentare appieno tutte le donne come lei che sono costrette ad affrontare il passato, che affiora continuamente nei ricordi, ma che vogliono affrancarsi da una situazione limbica, da una condizione di ingiustificata e ingiusta emarginazione.

La costruzione della nuova casa non è altro che la metafora di una nuova vita che la regista rappresenta nella maniera più vera e difficile senza addolcire le conseguenze di una scelta oltremodo coraggiosa. Quello che sembra dare un segno di speranza a Sandra e alle sue giovani guerriere divise tra lei e il padre è la sensazione che poi diventerà certezza di non essere sole ma di essere aiutate da un “methal”, un termine irlandese che vuol dire “comunità”, un nucleo di persone che hanno creduto nel progetto di Sandra e che l’hanno aiutata a costruire la nuova casa. Sì perché ci sono riusciti a far nascere dal nulla un sogno.

Un sogno che è diventato presto un incubo. Tre giorni prima del trasloco, durante i festeggiamenti per la fine del cantiere, la casa nuova va a fuoco. Sandra vede di nuovo il mondo crollare di fronte a sé, capisce che il suo incubo più grande, il suo ex marito, l’ha di nuovo violentata procurandole un dolore inimmaginabile. Fino alla fine, la Lloyd rappresenta la realtà, quella terrificante sensazione di non potersi mai liberare del proprio carnefice che, dopo aver tentato invano a togliere alla moglie la custodia delle figlie, ha provato di nuovo a distruggerle il futuro.

Ci ha provato ma non ci è riuscito. Come canta Sia in “Titanium”, canzone presente all’interno del film, “mi hai buttato giù ma io non cadrò perché sono fatta di titanio”. Sandra e le sue due guerriere non si abbattono, tutte le donne come Sandra non possono e non devono rinunciare al proprio futuro e alla propria vita perché sono fatte di titanio e il titanio non si distrugge. Mai.

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