#ROMAFF15: Romulus, la recensione

Romulus

È di sicuro capitato a tutti di assaggiare qualcosa di particolarmente strano. Quello strano che appena gustato non si sa dire se piace o meno e che necessita assolutamente di un ulteriore boccone. Con la presentazione alla Festa del Cinema di Roma dei primi due episodi di Romulus (trailer), serie prodotta da Groenlandia insieme a Cattleya e Sky Original, si ha esattamente questa sensazione.

Il progetto prende forma dopo il tentativo cinematografico de Il primo re, che vede sempre come protagonista il regista, sceneggiatore e produttore Matteo Rovere e anche le origini di Roma. Un po’ quello che successe con Suburra, si potrebbe pensare, eppure, anche in ciò, Groenlandia mostra la sua inesauribile voglia di sperimentare e di rimodellare il panorama audiovisivo italiano. Infatti, la serie non si pone come prequel o sequel, ma come un’ulteriore ipotesi sullo stesso evento: la fondazione di Roma. Si torna dunque indietro, rispetto al film, e si riscrive tutto da capo. Si mantengono solo alcune strizzate d’occhio nella costruzione dei personaggi (per esempio il rapporto di potere tra Remo e Romolo e qui Enitos e Yemos) e nella riproposizione ancestrale della foresta; e alcune scelte estetiche, che vanno dalla fotografia, alla scenografia, fino all’utilizzo del protolatino, elemento che aveva esaltato il pubblico già con Il primo re.

Gli elementi su cui riflettere da questo primo assaggio sono diversi. In primis, Romulus mostra la voglia dello staff di Groenlandia di internazionalizzare qualcosa di tipicamente italiano. Da oltreoceano, si riprende il gusto per una sceneggiatura prettamente agganciata al vogleriano Viaggio dell’eroe. Da “casa”, invece, il ritrovamento di un genere, quello del peplum. Genere anche statunitense, ma che nel panorama italiano aveva, fino al suo declino verso gli anni Sessanta, trovato un maggiore favore da parte del pubblico. Su tale scelta, ne emergono ben due riflessioni, una più particolare e un’altra più generale. Partendo dalla prima, è sicuramente interessante come si intenda da una parte riprendere il peplum, ma anche come si decida di svecchiarlo a partire dalla scelta fisica del protagonista, ma anche nella costruzione di una storia che diminuisce “l’effetto costume” per aumentare quello di realismo, tipico dell’audiovisivo contemporaneo. La riflessione più generale riguarda, invece, proprio la voglia di svecchiamento della Groenlandia. Svecchiamento non più di un genere, ma proprio del clima cinematografico italiano attraverso un cambio di rotta: dalla dicotomia, ormai stantia, del film drammatico d’autore o della commedia becera, verso la ripresa dei generi puri, come in questo caso, o “postmodernizzati”, come fu per Smetto quando voglio-Masterclass.

Romulus si presenta, quindi, già dal contesto di per sé, ma anche nelle sue prime due puntate come un prodotto fresco e nuovo, tuttavia, è ancora prematuro stabilire se, tale esperimento, possa o meno essere soddisfacente. Per esempio, per ora la scelta, tipica della serialità televisiva soprattutto “simil fantasy”, di creare una storia corale, con un montaggio alternato tra due situazioni e con più protagonisti, non sembrerebbe essere avvincente. Questo anche perché nessuno dei personaggi eletti a protagonisti è stato caratterizzato tridimensionalmente, perciò, moltiplicando i punti di vista, si ha la netta sensazione di smarrimento e di una assopita piattezza.

Attendendo, perciò, l’uscita di tutte e dieci le puntate (ognuna della durata di un’ora) su Sky e Now Tv il 6 novembre, per ora il punto della situazione su Romulus è ancora incerto. È una portata sicuramente gustosa e dall’aspetto generale invitante, ma che ancora non si capisce se è eccessivamente sciapa o meno.

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