#Venezia77: Meet Mortaza, la recensione

Per questa difficile edizione affetta dal Covid19 la Biennale di Venezia ha deciso di estendere per la fruizione da remoto le sue ormai tradizionali sezioni di realtà virtuale (normalmente proposte in concomitanza con la Mostra del Cinema) diffondendo le opere in diversi spazi fisici nel mondo e completandone la vastità con gli spazi virtuali di cui si può godere grazie ai visori vr professionali e sofisticati (però di difficile recupero per i non addetti ai lavori) anche dalle case di chi li possiede.

Tra le opere più incisive proposte così alla Mostra del 2020 ecco arrivare Meet Mortaza, delicato e raffinato documentario della regista francese Joséphine Derobe e basato sull’autobiografia Je savais qu’en Europe on ne tire pas sur les gens di Mortaza Jami.

Il fruitore segue la fuga dall’Afghanistan di Mortaza, condanato a morte a ventiquattro anni per motivi religiosi in dodici travagliati anni di fuga che lo porteranno in Iran, Turchia, Italia ed infine in Francia dove potrà finalmente costruirsi una vita ed una famiglia. Joséphine Derobe racconta l’odissea di un profugo senza permessi che lotta per la sua vita e sfida l’indifferenza come le onde del mare per trovare la vita prima della felicità la libertà prima della ricchezza. Un prodotto vr di tredici minuti delicato e coinvolgente, girato in perfetta armonia fra documentario e finzione realista, consigliatissimo e raffinato. Il film è solo l’apripista di un progetto più complesso in realtà aumentata previsto per il 2021.

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