#RomaFF18: Io, noi e Gaber, la recensione del film di Riccardo Milani

Io, noi e Gaber recensione documentario Dasscinemag

«E allora è bello quando tace il water, quando ride un figlio, quando parla Gaber…» Cantava così Enzo Jannacci nel 1989 nella sua celebre canzone Se me lo dicevi prima. E quanta ragione che aveva. Io, noi e Gaber (trailer), presentato nella categoria Special Screenings della 18° edizione della Festa del Cinema di Roma, è il nuovo documentario targato Rai firmato Riccardo Milani, regista che si è fatto notare nel mondo della commedia popolare e pluripremiato ai Nastri d’argento. Ma partiamo dal principio, dal titolo.

Il titolo nasconde una dichiarazione di intenti, lo svisceramento di un trittico propedeutico nel delineare il ritratto di uno degli artisti più importanti per il panorama culturale del secolo passato. In primo luogo c’è Gaber, il Gaber uomo, voce e corpo, scrittore e interprete. Si svela così il processo intellettuale e fisico dietro il genio inventore del teatro-canzone: mostrandolo. Un susseguirsi di immagini e video d’archivio con un commento accurato sono il palcoscenico 2.0 per lo spettatore del 2023. È vero, ora non possiamo più vedere quel sudore che lo prosciugava ad ogni atto performativo. Non possiamo più sentire quell’urlo lontano dal microfono, liberatorio ed umile, che contraddistingueva ogni fine show. Non possiamo viverlo, ma possiamo farlo sopravvivere. La grande capacità di lettura del tempo, la stessa che qualche volta gli ha causato qualche censura, viene esaltata dai racconti di chi c’era, di chi lo ha avuto come mentore, chi come collega, chi come padre, marito o profondo amico. Giorgio era unico in ogni suo aspetto. Si muoveva e ballava come nessuno prima di lui. Scriveva alternando grande ironia ad ideologie e malinconia. Persino le vocali diceva in maniera unica, ricorda Jovanotti nel film. Una di quelle unicità che ti fanno patire la solitudine forse.

Ma oltre a Gaber in questo film ci siamo noi. Quando si è così influenti ciò che si sta segnando non è semplicemente l’individualità dell’ascoltatore/spettatore, ma l’impianto nazionale in toto. Le interviste fatte ai vari e variegati personaggi che abitano il film spaziano tra politici, musicisti, attori, collaboratori e familiari senza avere un’unica direzione. Eppure li sentiamo coesi, uniti da un filo rosso fortissimo. Una morsa che stringe tutti gli italiani, senza differenza tra destra e sinistra. Questo bel paese pieno di poesia lo aveva capito talmente bene che viene naturale chiedersi: ma cosa avrebbe detto di tutto ciò che sta accadendo oggi? Cosa avrebbe detto della nuova società digitale? Cosa avrebbe detto dei conflitti? La risposta è semplice, le stesse cose che diceva allora. I messaggi del cantautore milanese sono talmente universali e futuristici che ci parlano ancora direttamente.

 Ed è proprio qui che arriva il terzo punto, Io. L’individuale sensazione nella comprensione dell’uomo artista. La duplice faccia comunitaria/individualistica delle sue liriche sono un abbraccio sia alla nostra sensibilità che al nostro pensiero, con un fare sempre zelante ma mai tronfio e supponente. La forza di questo documentario, complice della sua durata, è il non limitarsi a rigettare fatti noti e meno noti, ma riuscire anche a donare una comprensione generale del perché è ancora utile (e aggiungerei inevitabile) parlare di Giorgio Gaber oggi. Forse non ci sentiamo più italiani, sarà la globalizzazione nell’era dell’internet, ma per fortuna lo siamo, così da poterci godere la musica, i testi e le performance di Giorgio Gaber.

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