#ROMAFF15: Le Discours, la recensione

Le Discours

Tutti combattiamo da anni ormai con il dramma del visualizzato senza risposta. È da un po’ di tempo che comincio a pensare che oggigiorno l’avere l’ultima parola non conti più e che anzi sia completamente l’opposto ciò a cui si ambisce: adesso si ha in mano la situazione quando si sceglie di stare in silenzio. E così visualizzare senza rispondere diventa l’ultima parola nell’era delle chat, mentre dall’altro lato, dal lato di chi una risposta l’attende, dal lato di chi passa il tempo a fissare le famigerate spunte blu, inizia a delinearsi un dramma interiore e strettamente personale. Un dramma che chiunque abbia comprato un smartphone nell’ultimo decennio ha fronteggiato almeno una volta. Ed è proprio per questo che Le Discours (trailer) parla a tutti noi.

Ci parla perché il protagonista del film di Laurent Tirard, Adrien, interpretato da un ottimo Benjamin Levernhe, pur essendo innegabilmente egoista, ma egoista a tal punto da rendere addirittura difficoltoso l’instaurarsi di un qualsiasi rapporto che non sia di stizza con lo spettatore, è la versione caricaturale dello spettatore stesso, alle prese con le piccole sciagure quotidiane. Ed ecco che durante una cena in famiglia, un tipo di ambientazione caro alla commedia, Adrien scopre di dover tenere un discorso al matrimonio della sorella. Questa prospettiva non lo alletta per niente, soprattutto dal momento che tutti i suoi pensieri sono rivolti alla propria situazione sentimentale. La compagna ha infatti deciso di mettere in pausa la loro relazione andandosene di casa e ora non risponde neppure al messaggio che lui le ha inviato. La cena procede così tra l’attesa di una risposta e i fallimentari tentativi da parte del protagonista di evitare il discorso di matrimonio, mentre vari flashback scorrono sullo schermo, permettendo di aggirare l’unità spaziale e temporale di Le Discours.

Adrien, incapace di comunicare con chi gli sta attorno, si apre di fronte alla telecamera, interpellando lo spettatore, senza però raccontare mai se stesso, soltanto gli altri. E paradossalmente non vi è modo migliore per conoscerlo in tutta la sua antipatia, della quale si avrà conferma proprio nel fatidico momento del discorso di matrimonio. Perché ad essere messo in scena attraverso Adrien è l’egoismo, l’assurdo egoismo del dolore e dell’amore. Lo si racconta però avvolgendolo nella dolcezza di un’atmosfera teatrale, sull’orlo dell’irrealtà.

Contribuiscono a rendere spassoso l’elegante film di Tirard anche i personaggi secondari, dei quali si sceglie, secondo il canone della commedia, una caratteristica da enfatizzare, così da renderli dei tipi, degli stereotipi, affinché lo spettatore possa rivedere al loro interno le persone della propria vita e ridere di esse, ridendo al tempo stesso di sé. E infatti il pubblico in sala ride di gusto durante la proiezione, perché Le Discours è un film che riesce a toccare le corde giuste, raccontando niente di più che la vita, quantunque con i toni iperbolici tipici di un certo tipo di commedia. D’altronde nella vita dover tenere un discorso può essere davvero un dramma, dal momento che persino la rivincita dell’ultima parola è stata soppiantata dal freddo silenzio di due spunte blu.

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