#RomaFF18: Un amor, la recensione del film di Isabel Coixet

Un amor (trailer) è un film decisamente complesso da descrivere, tanto quanto risultano complesse le dinamiche umane che si sviluppano intorno alla protagonista. Basandosi sull’omonimo romanzo della scrittrice Sara Mesa, la regista Isabel Coixet porta sul grande schermo la storia di una giovane traduttrice, Nat (Laila Costa), che dopo un crollo nervoso avvenuto a lavoro decide di lavorare da casa trasferendosi così in un paesino rurale della Spagna. Sembrerebbe l’inizio di un viaggio alla scoperta di se stessi in mezzo alla natura ma, come l’affittuario di casa continua a ripetere alla protagonista, non è questo il caso. Il casolare è fatiscente e con l’arrivo di un acquazzone piccoli pezzi di muro cedono e intere stanze si allagano. Un disastro a quale “l’amabile” padrone di casa (Luis Bermejo) risponde con atteggiamento estremamente maschilista scaricando alla ragazza tutte le incombenze del caso e non solo: l’uomo si impone ancora una volta lasciandole un cane malridotto di cui occuparsi.

Nonostante i problemi legati a questa abitazione, i paesaggi naturali sono mozzafiato e l’ambiente appare perfetto per un ritiro solitario ma per Nat non ci sarà tempo per la solitudine difatti la comunità appare molto attiva, al limite dell’invasivo. Insomma, il classico paese dove si sa sempre tutto di tutti. A trascinarla all’interno delle dinamiche comunitarie è Piter (Hugo Silva) che, ignorando il desiderio della protagonista di mantenere un basso profilo, la spinge insistentemente a socializzare con i vicini di casa. Fin dalle prime scene notiamo come arrivi a Nat, sottoforma di consiglio spassionato, l’imposizione di liberarsi del cane da parte di quasi ogni abitante del villaggio. Una richiesta che rimarrà inascoltata provocando in seguito un evento drammatico.

Allo stesso modo del cane, Burbero, anche la persona con cui Nat instaurerà una relazione amorosa appare pioverle dal cielo. Andreas (Hovik Keuchkerian), soprannominato “il tedesco”, appare l’unico abitante a vivere non curandosi dei pettegolezzi del paese (finendo così per alimentarli), non a caso è l’unico a parlare in modo schietto e, talvolta, brusco. Una specie di eremita che, nonostante venga rifiutato dal tessuto sociale del paese, appare essere iper presente all’interno delle vite di tutte quelle “persone per bene”. Proprio facendo sfoggio della sua franchezza caratteristica, l’uomo si offrirà di aggiustare le perdite del tetto in cambio di un favore di natura sessuale. Nat rifiuta ma, spinta da quella che appare come una necessità stringente, finisce per acconsentire. Il rapporto si svolge in modo meccanico e viene vissuto in modo estraniato dalla protagonista. Eppure, inaspettatamente, sarà proprio Nat a voler continuare e approfondire la loro conoscenza anche dopo la buona riuscita dei lavori.

In paese la notizia inizia a passare di bocca in bocca fino ad arrivare alla diretta interessata attraverso un’ambiguo dialogo con Piter, che, decisamente geloso ma anche in qualche modo ferito, sembra voler instillare in lei la convinzione che la neonata relazione è destinata a finire. Nonostante le allusioni, il rapporto tra Nat e Andreas va a gonfie vele, i due sembrano capirsi profondamente fino a quando il “non detto” che sembra impegnare profondamente sia l’ambiente esterno (il villaggio) che quello interno (la loro relazione), scaturisce prepotentemente. Andreas viene mostrato più volte coinvolto in azioni che appaiono a Nat sempre più enigmatiche, di conseguenza la donna cerca di capire la situazione tra appostamenti maldestri e continue chiamate portando l’uomo a troncare ogni tipo di rapporto.

Nat è spenta e apatica ma il suo dolore viene interrotto dalle continue molestie – fisiche e non – di Piter e dell’affittuario di casa che in maniera completamente opposta cercheranno di convincerla a donarsi a loro. La situazione si complica ulteriormente quando Nat apprende la notizia che, in sua assenza, Burbero ha attaccato una bambina del villaggio e che, per questo motivo, verrà presto soppresso. Il finale però lascia ben più di un barlume di speranza per la protagonista che, in un momento estemporaneo rispetto al flusso della narrazione, con una danza che appare quasi tribale, richiama a sé l’amore che è riuscita a guadagnarsi, ovvero quello del suo cane Burbero. Un amor è, dunque, un film decisamente imprevedibile che lascia spazio a differenti interpretazioni riguardo gli avvenimenti narrati, che, facendoci entrare nei panni della protagonista, ci mostra uno spaccato di umanità decisamente sfaccettato (al limite dell’ermetico) dove il confine tra paranoia e realtà appare poco definito.

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