#RomaFF16: Incontro ravvicinato con Quentin Tarantino

Quentin Tarantino regista

In occasione della consegna del premio alla carriera, Quentin Tarantino è stato protagonista di un incontro ravvicinato alla Festa del Cinema di Roma, dove ha parlato della sua carriera e della sua inesauribile passione per il cinema.

Qual è il primo che hai mai visto?

Il primo che ho visto era un film di agenti segreti, degli anni ’64-’65 mi pare. Non mi ricordo il film però il primo ricordo che ho è che avevo 5 anni e non avevo assolutamente idea di quello che stessi guardando. C’era una scena sadomaso, con protagonista una persona rapita e tenuta prigioniera. Sono rimasto scioccato, tutta la parte politico/sessuale mi sfuggì perché ero piccolo e non capivo. Molti anni dopo, quando ho iniziato a collezionare film, mi capitò proprio questo. Dopo averlo iniziato a vedere mi è capitata quella scena e ho detto: «cavoli questo è il mio primo film che ho visto».  

Ti consideri uno sceneggiatore che dirige i suoi film o un regista che scrive i suoi film?

Non lo so. Forse entrambe le cose. Ho sempre avuto una opinione alta di me stesso, soprattutto per la scrittura dei dialoghi. All’inizio mi consideravo più uno sceneggiatore, poi sono arrivato alla conclusione di essere uno sceneggiatore e al tempo stesso un regista capace di catturare c’ho che esprime la sceneggiatura.

Perchè all’interno dei tuoi film inventi marche, prodotti, mai esistiti veramente?

Mi piace, mi diverto a creare altre realtà nel mio mondo. Per questo i miei personaggi, a volte, vedono anche dei film mai esistiti.

Parliamo di Jakie Brown. Come scegli i tuoi attori? Quando scrivi già li hai mente?

No, non avevo in mente gli attori quando ho scritto questo film, per esempio. Robert De Niro si è palesato. A volte scrivo pensando ad un attore, altre volte no, dipende dal rapporto che si stabilisce tra me e il foglio di carta. È un processo interessante. Funziona meglio se scrivo pensando ad un attore che già conosco. Parlando del personaggio di Hans Land in Inglourious Basterds, il risultato non sarebbe stato abbastanza ricco se avessi pensato ad un attore in particolare. Serviva un attore con le stesse competenze linguistiche che avevo pensato per il personaggio. Mi sono detto: «ho scritto un ruolo che nessuno può interpretare». Se avessi pensato a qualche attore in particolare il personaggio sarebbe già stato limitato. Dopo aver lavorato con Christopher Waltz mi sono detto che avrei voluto continuare a farlo, di conseguenza il suo personaggio in Django Unchained è stato scritto su di lui. Stessa cosa successa con Sam Jackson, dopo aver fatto Pulp Fiction conoscevo il ritmo della sua voce, le sue movenze. Però c’è sempre bisogno di trovare un equilibrio, perchè, se scrivi con in mente un attore sai dove puntare, i suoi punti di forza e scrivi per farli emergere. Questo significa che devi evitare di includere degli aspetti per i quali pensi lui non abbia delle competente giuste, e questo, a volte. finisce per limitare l’impatto del personaggio.

È vero che hai mentito sul tuo cv scrivendo che hai recitato in un film di Godard e in uno Romero per poterti accreditare come attore?

Sì, è vero. Se vuoi fare l’attore ma non hai mai fatto nulla qualcosa devi scrivere sul cv. Ho puntato su Zombie di Romero perchè ad un certo punto si vede una gang di motociclisti che appare in un centro commerciale e ce ne è uno che sarei potuto essere io, mi assomiglia. Godard invece ha fatto un film terrificante, King Lear. Ho pensato di poter inserire anche quello, sinceramente non credo l’abbia visto qualcuno. A tal proposito, in un libro si fa persino riferimento a “quel giovane Tarantino che guardando bene si riesce a vedere nel film.” Mi è capitato che Romero mi contattasse per sapere se fossi pronto per interpretare un personaggio in uno dei suoi ultimi film. Mi sono quindi riscattato dalle bugie.

Parliamo di Kill Bill. Estremo primo piano sugli occhi di Uma Thurman. È vero che hai chiesto all’operatore che l’ha eseguita di fare un’inquadratura alla Leone?

Io lo chiamo un Sergio, per esserlo deve essere strettissimo, questo qui non lo è, è solo un primissimo piano. Tutti sanno nel cast tecnico cosa intendo quando dico che mi serve un “Sergio”.

Ci sono tante liste con riportati i tuoi 10 film preferiti, e questi cambiano sempre. Il Buono il Brutto il Cattivo, però, è sempre al primo posto. Come mai?

Francamente è assurdo chiedere a qualcuno i suoi10 film preferiti. Non si può prendere sul serio una richiesta del genere. Eccetto per quel film che è sempre al primo posto. Per il resto mi faccio influenzare dal mio umore quando scelgo i miei film preferiti.

Qual è stato il momento in cui hai deciso di dedicare la tua vita al cinema?

C’è voluto un po’. Dovevo convincere prima gli altri che volevo essere un regista. Appena ho capito cosa fosse un regista ho capito che quella era la mia strada. Da ragazzino vedevo gli attori ed ero sempre legatissimo al mondo del cinema, volevo farne parte. Mia madre e il mio patrigno mi dicevano che io sarei diventato un regista, perché a me interessava il film e, anche quando volevo fare l’attore, per me gli eroi erano sempre i registi. A me interessava il cinema, ai miei compagni di recitazione interessavano loro stessi. Mi è sempre piaciuto troppo il cinema per poter fare solo l’attore in qualche film.

Inglourious Basterds e Once Upon a Time in… Hollywood .Tu capovolgi la Storia. Racconti qualcosa che non é mai successo. Cosa rispondi a chi ha dei problemi di tipo epico con questo?

Di film in giro ce ne sono tanti mica devono vedere per forza i miei. L’idea, comunque, è sempre quella di sorprendere. Come regista puoi sorprendere con degli elementi che gli spettatori hanno davanti agli occhi ma dei quali sembrano non accorgersene. Once Upon a Time in… Hollywood si rivela essere una fiaba solo alla fine, anche se già il titolo lo rivela.

Django Unchained. Leonardo di Caprio si è ferito in un scena con del vetro. Raccontaci cosa è successo.

É stato un incidente. Un bicchiere si è frantumato in mille pezzi. La reazione di Leo è stata straordinaria. Ci aspettavamo che urlasse, invece si è rivelato un attore magnifico. Ha gestito benissimo la scena, in quei due minuti di girato, ha raggiunto dei livelli magnifici.

Un attore ha mai interpretato una scena in tutt’altro modo rispetto a come l’avevi scritta?

In realtà non avrebbe senso fare una cosa del genere. Si può arricchire il film grazie alle qualità degli attori e, infatti, a volte si prendono delle strade diverse, nel prodotto finale ci sono delle differenze proprio per questo. Il personaggio di Bill (Kill Bill) lo avevo pensato per Warren Beatty all’inizio. Me lo ero immaginato come un cattivo alla James Bond. Avevo messo nel personaggio i lati peggiori di Warren. Alla fine il ruolo è stato interpretato da David Carradine, che era una specie di cowboy asiatico. Non ho riscritto la parte ma ci sono state delle modifiche, degli aggiustamenti per renderlo più simile a lui. Poche settimane fa ho ripreso in mano il copione di Kill Bill e mi sono reso conto di quanto sia diverso rispetto a quello che è il prodotto finale.

The Hateful Eight. Ci parli della tua collaborazione con Ennio Morricone?

Semplicemente un sogno che si è realizzato. È sempre stato il mio compositore preferito, non solo di colonne sonore, ma in assoluto. Per The Hateful Eight c’era bisogno di una colonna sonora originale. Mandai ad Ennio Morricone la sceneggiatura, tempo dopo mi trovai a Roma per i David di Donatello. Mi incontrai con Ennio e gli dissi di aver bisogno di una colonna sonora. Mi rispose di avere in testa il tema principale. Purtroppo non aveva il tempo di comporre un’intera colonna sonora perchè stava già lavorando a quella per un film di Carpenter. La sera del David mi si avvicinò e mi disse che, con i brani non utilizzati per Carpenter, si poteva arrivare a 20/25 minuti e magari 40 minuti di colonna sonora. Lavorare con lui è stato incredibile, è stato un vero gigante.

Parliamo del cinema italiano e dei registi considerati di serie B, come Renato Castellani. Come li hai scoperti e cosa ti piaceva di loro?

Sono stato fortunato perché sono cresciuto negli anni ’70 e, regolarmente, nei cinema si vedevano questi film, dove i registi italiani sfruttavano questo filone di genere. Mi sono sempre piaciuti, trovavo anche che quando i registi italiani si approcciavano a determinati generi, come il western, lo facevano meglio dei colleghi americani. Il cinema italiano aveva un’immensa grandezza, dal punto di vista della musica, del sangue, del sesso. Aveva una qualità teatrale.

Hai mai considerato di girare in Italia, magari a Cinecittà?

Assolutamente sì. Mi piacerebbe e piacerebbe anche a mia moglie. Si tratta di trovare la storia giusta. Girare a Cinecittà sarebbe pazzesco. Ho un’idea in mente, qualcosa di diverso. Questa cosa, di cui non voglio dare ulteriori particolari, si potrebbe immaginare come uno spaghetti western secondo lo stile italiano, dove tutti parlano la propria lingua e dove ogni personaggio sa che deve pronunciare la sua battuta solo quando l’altro ha finito.

Ha inventato John Travolta i passi di danza del celebre balletto di Pulp Fiction, è vero?

Sì. Per quando riguarda Uma Thurman, però, ho inserito dei movimenti io. Eravamo d’accordo che l’idea del twist fosse giusta. Travolta mi disse di aver partecipato a 12 anni ad una gara di twist e mi ha rivelato che è una competizione noiosa da guardare. Quindi, per rendere il tutto più originale e accattivante, mentre giravamo la scena, io davo continuamente l’indicazione di cambiare il passo e lo stile.

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