#Cannes75: Crimes of The Future, la recensione del film di David Cronenberg

David Cronenberg torna alla fantascienza perturbante che ha contraddistinto opere come Videodrome ed eXistenz, riprendendo il tema del suo omonimo cortometraggio degli esordi, Crimes of the Future (1970), ma rielaborandone del tutto la struttura e sviluppando così un film del tutto nuovo (trailer). In un futuro prossimo l’umanità sta irreversibilmente e rapidamente mutando il suo aspetto genetico: tumori inspiegabili producono nuovi organi in apparenza inutili e due body performer (Viggo Mortensen e Léa Seydoux) riescono a governare la mutazione, facendo delle loro deformazioni delle opere d’arte contemporanea, da esporre dopo un’esibizione pubblica di estrazione chirurgica.

I nuovi esseri umani, che hanno perso la percezione del dolore ed il piacere erotico, sono in cerca di una nuova forma di sesso attraverso le penetrazioni chirurgiche e le lesioni corporali. Le problematiche esistenziali tradizionali lasciano il posto ad una nuova definizione del proprio Io, grazie alla trasformazione chirurgica del corpo. Inoltre, un bisogno naturale come il consumo del cibo è ormai un’esperienza difficile da espletare, necessitando di una particolare sedia biosenziente, che aiuti gli organi interni ad accogliere il nutrimento. In una remota località, un bambino che vive, con i suoi genitori, in stato di isolamento dal resto del mondo, riesce intanto a secernere un particolare acido che gli consente di mangiare la plastica.

In un mondo dove l’umanità non è più se stessa, gli ultimi artisti cercano di dare un senso filosofico e poetico alla trasformazione dei corpi, facendo i conti con la polizia segreta, i centri di registrazione di organi da brevettare ed una misteriosa organizzazione, che trasforma la plastica in barrette di cioccolato, richiedenti una trasformazione chirurgica per essere consumate.

Cronenberg si mostra al passo con i tempi e ricerca nuovi incubi e nuove metafore, che si adattino al mondo contemporaneo, dove l’accumulo di resti non biodegradabili, i tumori indotti dall’inquinamento e lo sviluppo incontrollato, sono il tabù che il cittadino medio cerca di non vedere intorno a sé. Il film è una lucida riflessione sul mondo moderno, che sa passare dall’inquietante al grottesco con una coerenza narrativa ed estetica davvero notevole. L’unico difetto riscontrabile è una struttura di dialoghi troppo articolata e raffinata, che un po’ fa perdere tensione alla storia, ma si rivela necessaria per la comprensione dell’opera.

Un film di grande forza visiva, che ricorda le opere precedenti del cineasta, come Il pasto nudo o Inseparabili, ma riesce anche ad aggiungere nuovi temi e ad aggiornare la gamma di questioni etiche e filosofiche che contraddistinguono la filmografia del maestro canadese.

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