Five Nights at Freddy’s, la recensione: la paura non fa novanta

Five Nigths at Freddy's

Fin dai primi anni 2000 il videogioco è una solidissima fonte di prodotti cinematografici e seriali capaci di dividere, estasiare o deludere pubblico e critica. Partendo dalle fortunate saghe come quella di Resident Evil (2002 – 2023) e arrivando alle ambiziose serie televisive come The Last of Us (2023 – in corso) – potremmo citare anche Silent Hill (2006 e 2012), Max Payne (2008), Prince of Persia (2010), Slender Man (2018), Mortal Kombat (2021) e Gran Turismo (2023) – il videogioco è diventato un medium con cui riaprire cassetti oramai polverosi e da cui trarre nuove storie per il grande schermo. Five Nights at Freddy’s (trailer) di Emma Tammi, ispirato all’omonima serie di videogiochi, parte proprio da questi due presupposti e giunge ad un risultato finale quanto mai strano e spaesante.

Sentiamo sì il riaccendersi della nostalgia e il necessario aggiornamento dell’esile trama dei primissimi Five Nights, ma avvertiamo anche e soprattutto l’allontanamento dalla tensione e dalla semplicità che tanto caratterizzavano quel videogioco punta e clicca. Nel film Mike (Josh Hutcherson) è un irruente addetto alla sicurezza che, per mantenere la custodia della sorellina Abby (Piper Rubio), accetta il lavoro di guardiano notturno presso l’infestata e desolata Freddy Fazbear’s Pizza; nel frattempo però egli è anche alla ricerca della “chiave” per placare gli incubi riguardanti il rapimento del fratellino Garrett (Lucas Grant). Purtroppo, quanto detto in merito al protagonista rimane una premessa allettante e profonda con uno sviluppo narrativo parziale. Mike diventa l’addetto alla sicurezza di un luogo pericoloso, ma non viene a sapere dell’esistenza dei mostri che lo abitano fino a quando l’ora e dieci di film non è trascorsa. Una volta superato l’infinito primo atto, il protagonista avrà un obiettivo concreto e lo spettatore potrà finalmente destarsi dallo stato di immobilità a cui è stato condannato.

Passa la prima ora e Mike ha letteralmente “agito” soltanto nei suoi sogni, poiché in questi è custodita la fantomatica “chiave”. Non vogliamo certo dire a priori che questa scelta narrativa sia un male, ma vogliamo comunque precisare che il non-luogo dei ricordi di Mike prevale sullo spazio reale d’azione in cui ingenuamente si ritiene debba avvenire la vicenda. Questa scelta ha le sue conseguenze sulla narrazione: per un’ora e dieci di film Mike non scappa, non protegge, non combatte e (purtroppo) non comprende quanto accada nei suoi sogni. Dunque, la narrazione si arresta e si ha come la sensazione che le quattro notti presso la Freddy Fazbear’s Pizza siano una gigantesca presentazione di un pericolo inevitabile. Eppure questa minaccia tarda ad arrivare, persino quando si è già capito tutto.

Five Night at Freddy's

Altro problema è come l’opera di Emma Tammi schivi senza un motivo specifico la vivida ed efficace costruzione della paura dei primissimi videogiochi Five Nights at Freddy’s: sei un agnello al macello e sei bloccato nello stanzino di un parco divertimenti infestato da animatroni killer; devi usare sapientemente la corrente di telecamere e porte antipanico per resistere cinque notti agli attacchi dei mostri; se sprechi corrente, sei morto. Il film invece è così tanto impegnato a vagare nei ricordi di Mike che rifiuta volontariamente di trasportare il protagonista e lo spettatore nell’incubo di cinque notti passate in compagnia degli animatroni. Il trailer del film ha infatti capito benissimo questo punto e così decide di raccontare cosa accade durante la quinta notte (la parte più interessante di tutta l’opera). Cosa succede nelle altre? Nulla. Il protagonista NON è impegnato nella “vera” vicenda di salvataggio fino a quando non mancano trenta/quaranta minuti alla fine del film. Se, dunque, nei videogiochi sudiamo freddo per sopravvivere anche una notte – controlliamo telecamere, chiudiamo e apriamo porte, ci disperiamo perché sentiamo rumore, contiamo le ore – nel film, invece, basta chiudere gli occhi ed interagire brevemente in sogno con una variante dei mostri che ferisce ma non uccide.

L’opera sfida ulteriormente la pazienza dello spettatore sotto altri due punti. Anzitutto, nega il brivido e la tensione provocati nel videogioco dal capovolgimento del potere di sguardo; pensiamo quindi di possedere l’occhio sul mondo, quasi fossimo James Stuart ne La finestra sul cortile (1954) di Alfred Hitchcock o l’ingenua guardia carceraria del panopticon, ma in realtà siamo noi ad essere osservati e in pericolo. E poi, c’è il fatto che Mike rimanga estraneo a molte situazioni concernenti i potenziali antagonisti umani; egli, ad esempio, non conoscerà mai i loschi piani della zia Jan (Mary Stuart Masterson) e della sua banda di assassini rapinatori. Gli unici personaggi che potrebbero interessare di più sono Vanessa (Elisabeth Lail), la poliziotta e aiutante del protagonista, e Steve Raglan (Matthew Lillard), il consulente lavorativo di Mike e personaggio incredibile, a cui purtroppo è concesso poco tempo sullo schermo.

Five Nights at Freddy’s non è neanche lontanamente vicino alla paurosa efficacia del videogioco. Sebbene il titolo sia il medesimo, il film non ha la pregnanza del fratello videoludico. Gli animatroni sono presenti, ma viene comunque da chiedersi quale sia il senso del film se questi mostri evitano di tormentare la guardia nel suo stanzino. Non resta altro che auspicare la comparsa di un inarrivabile punto di svolta all’interno della vicenda. Al protagonista serve dunque un valido motivo per sporcarsi le mani e sputare finalmente sangue. Per vedere questo, tuttavia, lo spettatore deve attendere l’ora e dieci di film. Solo dopo potrà essere accompagnato verso un finale più o meno emozionante. Che piaccia o meno, in questo film la paura non fa novanta.

Al cinema dal 2 Novembre.

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