Mortal Kombat, la recensione: un nuovo film (mediocre) tratto dal famoso videogioco

Mortal Kombat di Simon McQuoid

Quella di Mortal Kombat è una delle saghe videoludiche di maggiore successo, oltre a essere una delle più longeve e controverse. La sua longevità gli ha permesso di costruire una storia stratificata e, forse, ingarbugliata, la quale comprende decine di personaggi e numerosi intrecci e sottotrame. Insomma, sembra una fonte perfetta per il cinema, e infatti non è la prima volta che si tenta di farne una trasposizione cinematografica. Il primo tentativo risale al 1995 ed è diretto da Paul W. S. Anderson, e se oggi quel film viene ricordato con un risolino irrisorio, sestuplicò il suo budget iniziale e indusse la produzione di un sequel e di una serie TV. Il pubblico, quindi, apprezzò il tentativo. Tale premessa era necessaria per introdurre Mortal Kombat (2021, trailer), un reboot della saga che trova nella prima trasposizione del 1995 un precursore: il film è mediocre sotto diversi punti di vista, tuttavia è un successo al botteghino e c’è l’intenzione di girarne dei sequel (al plurale).

Il Mortal Kombat è un torneo che vede combattere due schieramenti: Earthrealm contro Outworld. L’Earthrealm schiera degli eroi, ovvero degli esseri umani prescelti, per sfidare le entità demoniache che vengono dall’Outworld. Gli ultimi nove tornei sono stati vinti irregolarmente dall’Outworld e le regole affermano che se ne vincerà un decimo la Terra sarà conquistata. Ma un’antica profezia sembra dare una speranza agli esseri umani. La trama è pressapoco questa e viene dispiegata con confusione e superficialità e mostra sin da subito il principale limite del film: è rivolto a chi già conosce la saga videoludica.

La trama sconclusionata serve da collante in un film che punta decisamente su altre carte: la presenza dei personaggi amati dai videogiocatori e la proposta di combattimenti tanto spettacolari quanto violenti. Ciò sicuramente fa storcere il naso: Mortal Kombat è un film e in quanto tale andrebbe visto, analizzato e giudicato; tuttavia, sembra evidente che i suoi limiti di audiovisivo vengano compensati da un’offerta ricreativa più che adatta al pubblico a cui si rivolge.

La sceneggiatura, scritta da Greg Russo e Dave Callaham (Zombieland – Doppio colpo, Wonder Woman 1984), non è particolarmente solida: avanza con una linearità piatta e procede a fasi, struttura narrativa tipica dei videogiochi. i dialoghi sono semplicioni, mentre la struttura è poco coesa e maldestra nel gestire le svolte più importanti. Tuttavia, oltre a offrire alcuni momenti gradevoli, a tratti funziona nella caratterizzazione dei personaggi e la loro differenziazione, un aspetto sicuramente dovuto alla solidità del soggetto d’origine.

Mortal Kombat di Simon McQuoid

Forse il pregio maggiore della scrittura è l’aver saputo catturare lo spirito distintivo dei personaggi. Nella trasposizione però si è ignorato ogni tentativo di umanizzare queste figure e renderle tridimensionali. A tratti sembra assistere a cutscene, ovvero gli intermezzi narrativi che guidano i videogiocatori nella comprensione della trama dei videogiochi. Insomma, il film a tratti sembra un pretesto scialbo per portare la trama al combattimento successivo, uno spirito comunque familiare a certi generi cinematografici.

Non si è detto che il videogioco di Mortal Kombat è un picchiaduro, ovvero un genere che punta nello scontro tra due o più personaggi il suo principale divertimento. Per questo motivo era lecito aspettarsi dal film degli scontri esemplari, ma così non è, poiché per la maggior parte sono combattimenti che non restituiscono una frenesia coinvolgente. In compenso, anche in questo caso un difetto filmico offre un’altra facciata, perché gli scontri sfruttano gli effetti visivi per essere brutali, una caratteristica centrale del videogioco. Addirittura allo spettatore-videogiocatore vengono offerte delle citazioni, che effettivamente appaiono alquanto goffe (e sicuramente incomprensibili) se non si è a conoscenza dell’origine del prodotto (si parla della fatality, ovvero una mossa finale violentissima disponibile al vincitore dello scontro, presente anche nel film).

Insomma, Mortal Kombat offre degli spunti di riflessione interessanti. Il film è legnoso, eppure offre un contenuto godibile in quanto riconoscibile soltanto dal target a cui è rivolto. Quello che il film offre ha un nome ben preciso: fan service. Questa natura rende Mortal Kombat circoscritto a un pubblico limitato e incapace di comunicare a una nuova audience, ma forse non è mai stata questa la sua intenzione. Il fatto che il film non riesca a superare i limiti della fonte d’origine non è ritenuto totalmente un difetto, perché ciò nonostante decide di dare agli appassionati della saga videoludica qualcosa di perfettamente riconoscibile. Quindi, Mortal Kombat utilizza il mezzo cinematografico come un giocattolo: nel film ci sono i personaggi tanto amati che prendono vita, che fanno le mosse speciali proprio come le loro controparti poligonali, la metamorfosi però non si preoccupa di dare a questi personaggi un carattere più sfaccettato e, quindi, interessante. Insomma, un film a tratti malfatto, ma un prodotto efficiente. Non che le due personalità non possano coesistere, però non è questo il caso.

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