The Last of Us, la recensione della prima stagione su SKY

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Ben pochi sono i dubbi sul fatto che The Last of Us (trailer) sia la serie rivelazione del 2023. Adattamento dell’omonimo videogioco uscito nel 2013, la serie lasciava ben sperare sin dal suo annuncio, specialmente quando venne nominato Neil Druckmann (insieme a Craig Mazin) come direttore creativo. Druckmann, infatti, ha ricoperto il medesimo ruolo nello sviluppo della serie di videogiochi di The Last of Us, facilitando la traslazione dei suoi punti di forza nella serie televisiva.

Prima di entrare nei meriti (e demeriti, seppur esigui) del prodotto televisivo targato HBO, è bene soffermarsi su un aspetto che spesso passa in secondo piano in prodotti di questo tipo: la sigla di apertura. Druckmann e Mazin compiono la giusta, quanto quasi obbligata, scelta di confermare Gustavo Santaolalla come compositore delle musiche, già assaporate nel videogioco. Malinconici arpeggi di chitarra acustica accompagnano la splendida riproduzione visiva di quello che sembra essere un ceppo di Cordyceps in veloce espansione che presto avvolge tutte le città del globo, segnando la fine della civiltà umana.

La decisione di assegnare a Pedro Pascal il ruolo di Joel e a Bella Ramsey il ruolo di Ellie è stato un elemento che ha fatto storcere il naso, inizialmente, a molti fan del videogioco per via di una somiglianza minima dei due attori con i personaggi originali. Questo discorso della somiglianza, inoltre, si estende anche a numerosi altri personaggi della serie, come Sarah (Nico Parker), Maria (Rutina Wesley) o Sam (Keivonn Montreal Woodard). È però lecito chiedersi quanto sia importante la somiglianza in una serie strutturata su una solida sceneggiatura che permette ai suoi attori di immedesimarsi al massimo nei personaggi interpretati, esprimendone al meglio le varie sfaccettature psicologiche. Pedro Pascal, in particolare, riesce ad esaltare perfettamente i tormenti interiori di Joel, mentre Bella Ramsey si dimostra completamente a suo agio nell’interpretare quella caratterizzazione comico-cupa tipica di Ellie.

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Tante erano le aspettative su The Last of Us, complice la magistrale sceneggiatura alla base dei due capitoli del videogioco. In questa prima stagione, Druckmann e Mazin riadattano in maniera fedele la maggior parte degli eventi accaduti in The Last of Us part 1, lasciando spazio anche allo spin-off Left Behind che occupa l’episodio 1×07 per intero. Se a primo impatto, per i fruitori del videogioco, sembra di rivivere una riproposizione live-action degli eventi di quest’ultimo, è vero anche che non mancano le significative aggiunte o le differenze in termini di trama. Il caso più lampante è l’episodio 1×03 che racconta un’inedita backstory dietro il personaggio di Bill (Nick Offerman), approfondendo in maniera poetica il suo rapporto con Frank (Murray Bartlett). The Last of Us, come serie, risulta godibile sia per chi conosce il videogioco sia per chi vi si affaccia per la prima volta, mettendo in campo una sceneggiatura consolidata, ma anche nuova che in alcuni tratti migliora quella videoludica.

L’evidente attaccamento al videogioco, però, rappresenta anche il più grande punto debole della serie. Tanti sono gli archi narrativi introdotti in questi primi nove episodi, alcuni anche inediti (la storia di Kathleen come capo de “Il Popolo”), molti dei quali sono confinati ad uno o due episodi, esprimendo al minimo le loro potenzialità. Sarebbe stato interessante saperne di più sui crimini commessi da Henry (Lamar Johnson), oppure espandere ulteriormente la storia di Bill e Frank. Solo perché non lo ha fatto il videogioco, non vuol dire che non possa farlo il medium cinematografico. Se si conoscono gli eventi del videogioco, infine, è quasi sempre possibile prevedere i colpi di scena che la serie regala, smorzandone in maniera determinante l’impatto emotivo.

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Una doverosa menzione va riservata alla scenografia (curata da John Paino), tanto fedele al videogioco quanto lo è stata la sceneggiatura appena citata. La rappresentazione delle città americane in rovina, delle ZQ e degli interni di case, ormai soggette alla forza del tempo, lasciano senza fiato. Risulta evidente la grande attenzione al dettaglio, riscontrabile anche nei costumi e nella rappresentazione degli infetti. Nel primo caso, assistiamo alla fedele riproposizione dei medesimi indumenti indossati dai personaggi del videogioco. Nel secondo caso i videogiocatori in primis noteranno il grande grado di realismo impresso nella rappresentazione dei Runner e dei Clicker, caratterizzati dai medesimi versi, suoni e movenze del videogioco. In merito alla rappresentazione dei Clicker, tuttavia, emerge una “svista” nella realizzazione della corporatura di questa tipologia di infetti, spesso troppo vicina all’umano più che al mostro (tanti sono i Clicker vestiti con jeans e maglietta quasi intatti quando, nel videogioco, si vedeva l’estensione del Cordyceps anche nelle altre zone del corpo al di là della testa).

The Last of Us si dimostra una serie quasi perfetta che mostra una grande cura dei dettagli e una sceneggiatura solida, in grado di trattare tematiche mai banali. L’interpretazione attoriale e la scenografia sono i due elementi che più lasciano stupefatto lo spettatore, amplificando il grado di immedesimazione già proposto dal videogioco. La grande fedeltà agli eventi di quest’ultimo, tuttavia, rende prevedibile molti colpi di scena, danneggiandone l’impatto emotivo. Per chi si interfaccia per la prima volta a The Last of Us, sappiate che non rimarrete delusi. Per chi ha già giocato i videogiochi, sapete, in parte, cosa vi aspetta nella prima e nelle successive stagioni.

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