CODA – I segni del cuore, la recensione: l’amore attraverso i segni

CODA recensione film

Tra i candidati agli Oscar di quest’anno, uno dei titoli che ultimamente sembra stia cominciando a spiccare con più intensità è il recente CODA (I segni del cuore in italiano, qui il trailer), una commedia drammatica scritta e diretta dalla regista Sian Heder, remake del film francese La famiglia Bélier del 2014. Presentato in anteprima nazionale al Torino Film Festival, il film è candidato per le categorie miglior film, miglior attore non protagonista (Troy Kotsur) e miglior sceneggiatura non originale.

Al centro della storia abbiamo il personaggio di Ruby (Emilia Jones), una giovane ragazza proveniente da una famiglia di sordomuti che da anni si mantiene con un’attività di pesca. Ruby, però, è l’unico membro udente della casa e ciò la porta a doversi confrontare con continui episodi di emarginazione sociale, amplificata dall’assenza di prospettive verso un futuro che sembra già scritto e ancorato alla propria famiglia e alle loro problematiche. La via d’uscita sembra essere rappresentata da una passione repressa, quella per il canto, che la protagonista sceglie di seguire (seppur spinta dalla propria cotta sentimentale), trovandosi a dover affrontare un conflitto interiore che sembra costringerla a dover scegliere tra sé stessa e la propria famiglia.

Parlare di tematiche delicate come la disabilità e l’emarginazione non è mai semplice. Si rischia facilmente di scivolare nella banalità e nella stucchevolezza, raccontando storie di redenzione molto spesso ai limiti dell’improbabile, nel tentativo di fornire dei modelli positivi di riferimento confidando però in un mondo di fantasia che spesso non coincide con la vita reale. Oppure, si rischia l’alternativa opposta, raccontandoci storie senza speranze di rivalsa né accomodamenti (un esempio il recente Sound of Metal).

Coda sembra voler intraprendere una terza via, una sorta di compromesso, una commedia apparentemente leggera che però si prende la responsabilità di affrontare delle tematiche piuttosto mature. Se la scelta di farlo tramite la storia di un’adolescente outsider che cerca di vivere una vita normale può sembrare una scappatoia priva di originalità, ben più originale è il motivo alla base della sua “disabilità”, ovvero essere l’unica della famiglia a non essere sorda, la sua disabilità sta nel dover essere l’interprete dei propri familiari, sul posto di lavoro e non solo. Ruby, infatti, diventa un vero e proprio medium che si interpone tra la famiglia ed il mondo fuori. È l’altro lato della medaglia, paradossalmente è lei a dover portare il peso di tale disfunzionalità, contrariamente ai genitori e al fratello che (almeno apparentemente) sembrano soffrirne molto meno pur essendo i diretti interessati. Per quanto le scene di bullismo e provocazioni da parte dei propri coetanei costituiscano di per sé un cliché all’interno di film con protagonisti dei teenager, allo stesso tempo, nella loro prevedibilità, appaiono più attuali che mai.

Il canto e in generale la musica diventano un rifugio sicuro e una speranza di riscatto per la protagonista e sembrano costituire una delle componenti principali di questa edizione degli Oscar. Non è un caso che nella stessa edizione sia candidato un film con Tick, tick… Boom! che a modo suo ci racconta una storia simile. Ciò appare amaramente ironico considerando l’esclusione dalla cerimonia di una categoria così importante come la miglior colonna sonora (insieme ad altre sette categorie), motivo di polemica e di probabile boicottaggio di questa edizione che rischia di essere tra le meno seguite in tutta la storia degli Oscar.

CODA ci dimostra come una famiglia di sordomuti sostanzialmente abbia gli stessi problemi e gli stessi pregi di qualsiasi altro nucleo familiare, all’interno del quale Ruby interpreta involontariamente il ruolo della “pecora nera”, apparendo a suo modo diversa agli occhi di coloro che a loro volta appaiono diversi davanti alla società, dimostrando come forse questa diversità non sia poi così veritiera. La tematica della sordità (peraltro presente in altri due film candidati) è infatti contemporaneamente centrale e marginale all’interno di questo film. L’unione di questa famiglia non è data dalle parole ma dagli sguardi, dai gesti, dall’affetto che un genitore può provare nel guardare la propria figlia cantare pur non potendola sentire.

Inutile dire che nonostante il ruolo da protagonista di Ruby, CODA appare come un ottimo film corale, dove ogni membro del cast interpreta perfettamente la sua parte senza dare l’idea che qualche personaggio sia stato trascurato in fase di scrittura. L’unica pecca che si potrebbe riconoscere sta in un finale forse un po’ troppo fiducioso, ma di cui probabilmente e inconsapevolmente avevamo bisogno.

Ti potrebbero piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ho letto la privacy policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali ai sensi del Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e del D.Lgs. n. 196 del 2003 cosi come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018.