Disco Boy, la recensione: il freddo della guerra e il calore della natura

Disco Boy recensione film anteprima Giacomo Abbruzzese

In questo periodo, tra tutte le novità dei film commerciali, troviamo un prodotto autoriale, una perla nascente di denuncia, del tutto dissimile dagli altri, chiamata Disco Boy (trailer). In uscita questo giovedì 9 marzo nelle sale cinematografiche italiane a cura di Lucky Red e KMBO, Disco Boy è la prima pellicola del regista italiano Giacomo Abbruzzese. Il film, in lizza al 73⁰ concorso del Festival di Berlino dove si è aggiudicato il premio per il Miglior contributo artistico, è una produzione di stampo internazionale, per maggioranza francese, ma con una contaminazione sia italiana che tedesca. Una co-produzione micidiale, estremamente funzionale e schietta nel raccontare la disperazione della terra e dell’uomo, entrambi lacerati dalla guerra e bramosi di un futuro migliore.

Una coppia di amici, due ragazzi bielorussi Aleksej (Franz Rogowski) e Mikhail (Michal Balicki), affrontano un viaggio della speranza per espatriare dal loro paese e arrivare a Parigi. Purtroppo solo Aleksej sopravvive durante la fuga e, in balia degli eventi, si arruola nel corpo militare francese della Legione Straniera. Qui ogni clandestino e figlio di nessuno, anche senza identità ne documenti, può prestare servizio per ottenere la cittadinanza francese, un nome e uno scopo. Dopo una strettissima selezione, Aleksej, ormai diventato Alex, diventa uno dei primi soldati del corpo.

Il plotone appena formato viene mandato in missione, nel Delta del Niger, dove in manipolo di ribelli autoctoni, capeggiati da un uomo di nome Jomo (Morr Ndiaye), combattono contro la minaccia e la devastazione ambientale portate dalle compagnie petrolifere. Dopo uno scontro a fuoco e la lotta sanguinosa tra le due parti, i destini del nostro protagonista Alex e di Jomo si legano indissolubilmente. Due vite, una storia, una causa, mille disastrose conseguenze.


Disco Boy è una feroce critica verso la guerra, verso la lotta alle risorse, per non parlare della distruzione della natura, trasposta sullo schermo in modo sagace e innovativo. L’opera prima del regista Abbruzzese presenta spunti molto interessanti di narrativa e concettualità, che si traducono visivamente in una sequenza ipnotica di armonia e discordia, colorata dalle sue fresche scelte registiche.

Tanti primi piani, tanti dettagli, tante carrellate dell’ambiente, con il parallelismo tra l’Europa parigina e la desolazione africana occidentale, si mescolano all’intuizione fuori dagli schemi dei visori notturni a infrarossi. Declinate a seconda del contesto e accompagnate anticipatamente da riprese lente dal tono grigio e malinconico, le inquadrature a calore termico compiono un viaggio di trasmutazione ciclica, dalla morte alla vita.

Metaforico ma allo stesso tempo veritiero, Disco Boy parte dalla guerra inutile e fredda dove anche i corpi abbandonati dei soldati perdono calore e valore, per passare alla rinascita di una vita, di uno scopo in un fittizio sogno onirico, per giungere e concludersi con la riconquista di quelle terre quasi ormai del tutto prive di energia. L’opera è un film essenziale, minimal, che toglie ogni virgola ridondante lasciando unicamente spazio all’emotività espressiva, coinvolgente, tagliente, profonda come una ferita aperta. Un’emotività silenziosa ma molto più comunicativa di tante parole vuote. Per questo va fatto un grande plauso ai protagonisti, non solo Rogowski, ma anche Ndiaye e Laetitia Ky, artista femminista della Costa d’Avorio che interpreta la sorella di Jomo, triade capace di recitare e comunicare con sguardo e soprattutto corpo.

Il film chiude con una lunghissima carrellata termica della natura nigeriana che perde il suo vigore, affinché ci lasci, a noi spettatori ed esseri umani, un retrogusto amaro in bocca. Nella speranza di poter ancora rimediare e prendere coscienza di noi stessi, Disco Boy è il giusto modello da seguire per la via della redenzione.
 

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