Mixed by Erry, la recensione: i Moderni pirati veleggiano su Napoli

mixed by erry recensione film sydney sibilia

Quella di Enrico Frattasio è una storia tanto incredibile da essere fiction già da sé. Non ha manco vent’anni, è un appassionato di musica e sogna di fare il dj. Gli dicono però che non ha il phisique du role, che non ha «l’internazionalità». E allora Enrico che fa? Assieme ai suoi due fratelli affitta un negozietto, ci mette sopra l’insegna Mixed by Erry e si inventa un business: quello delle audiocassette tarocche, piene di playlist assemblate a mano con tanto di suggerimenti in coda. Prima di Spotify, prima dell’algoritmo. I tre fanno il bum. Nell’arco di cinque anni Mixed by Erry è la prima “etichetta” per volume di vendite in Italia, cosa che non piace alle etichette vere, quelle incravattate a Milano, che battono i piedi e tirano in ballo Ministero e Guardia di finanza. Arriva il 1991, Mixed by Erry chiude e i tre fratelli si fanno quattro anni a testa.

A leggere queste poche righe si rende chiaro da sé come Sydney Sibilia avesse davanti una storia già bella e apparecchiata. La mette in sceneggiatura assieme ad Armando Festa e la dirige sotto il patrocinio di Groenlandia (la casa di produzione che negli ultimi abbiamo capito fare le cose più sfiziose), Rai Cinema e con il contributo di Netflix, che dopo la fallimentare serie su Blockbuster assesta un altro buffetto all’epoca dell’analogico.

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Il fatto che poi tutta questa incredibile storia sia incastonata nella Napoli degli anni Ottanta è solo un altro grande punto a favore. Sono gli anni di Maradona e del primo scudetto della squadra di calcio della città, i cui festeggiamenti a un certo punto fanno capolino e si pongono quasi a controcampo del trasognante È stata la mano di Dio di Sorrentino. Una Napoli che nel suo folklore innato è quasi da realismo magico in ogni viuzza e in ogni colorito scambio, cartografata in lungo e in largo nel cinema italiano degli ultimi anni – pensiamo a Martone, con il recente Nostalgia, ma pure Ultras di Lettieri (Liberato cura il tema anche di Mixed by Erry) o la Paranza dei bambini di Giovannesi.

Napoli che non può che porsi a perno del film di Sibilia, seppur con intento più giocoso e tamponato anche quando emergono il sangue e la criminalità organizzata, quasi che siano un fatto impastato, più nel male che nel bene, nella matrice stessa di questo luogo contraddittorio – dove persino i due fratelli di Erry ne rappresentano ognuno uno spaccato differente. Nella tradizione declinata al gioco rientra anche l’evidente ironia giostrata sopra lo stereotipo, dove la nascita del fenomeno della pirateria (il quotidiano Il Mattino fu il primo a definire i Frattasio “Moderni pirati”) nelle piazze di Napoli pare essere fatto ancorato alla radice della città, al suo storico arrabattarsi con ingegno e contraffazione tra le scoscese scogliere della vita, come quando in apertura del film i tre aiutano papà Pasquale (Adriano Pantaleo) a vendere whiskey falso.

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Qua in mezzo Mixed by Erry ripercorre le gesta dei fratelli (a dargli volto sono Luigi D’Oriano, Giuseppe Arena ed Emanuele Palumbo) scaglionando in maniera abbastanza lineare i momenti salienti della loro ascesa tra un mix musicale e l’altro. È una cronistoria dai tratti di un coming of age imprenditoriale, contaminato da una comicità sana che danza a colpi di azzeccatissima playlist. Forse il film si tiene tutto dentro le briglie di sicurezza di una narrazione che i suoi improbabili protagonisti li coccola e porta in gloria nella loro spontanea ingenuità.

Non impenna mai davvero sull’estro della situazione in cui sono i tre e manca magari un po’ di conflitto, di frizione, di reale inciampo durante questa loro corsa verso un qualcosa che è palesemente più grande di quanto possano gestire. C’è l’integerrimo capitano Ricciardi (Francesco di Leva) a fare da pendolo della bilancia, ma è per lo più un motore comico, un memento di dove tutto questo andrà a parare, come vediamo anche in apertura del film. Ma Mixed by Erry in fondo vuol fare altro, recuperare e dare forma a una leggenda che ancora scorre tra chi Napoli in quegli anni l’ha vissuta, colorare un altro spazietto di un pittoresco arazzo che sembra sempre più un ricco bacino da cui il cinema degli ultimi anni ama attingere per raccontare storie di gioia e di dolore.

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