Prey, la recensione del film su Disney+

prey recensione film Disney+

Salvo il successo del primo film del 1987 diretto da John McTiernan e con protagonista Arnold Schwarznegger, il franchise di Predator non ha mai avuto modo di godere della simpatia di pubblico e critica. Più volte si è tentato di riportare sullo schermo le temibili creature aliene protagoniste dei film, ma spesso con scarso successo, non riuscendo a trovare quel giusto equilibrio tra action e sci-fi che invece contraddistingueva il primo capitolo della saga. Con l’acquisizione da parte di Disney di Fox, però, questa tendenza sembra invertirsi. Dan Trachtenberg viene infatti incaricato di dirigere il nuovo capitolo del franchise, intitolato Prey (qui il trailer), disponibile dal 5 agosto su Disney+. Lo scopo di questa pellicola era quello di tornare ai vecchi fasti, tentando di raccontare ancora una volta una storia che risultasse avvincente e dinamica, non necessariamente però andando ad imitare pedissequamente quanto avvenuto nel titolo capostipite della serie, ma sicuramente cercando di mantenerne lo spirito e le intenzioni.

A differenza di quanto visto nella controparte cartacea, sul grande schermo i mostruosi Yautja non hanno mai avuto l’occasione di essere approfonditi con cura, ma anzi, sono sempre stati dipinti come creature interessate solo alla caccia e all’uccidere tutto quello che si parasse loro davanti. Sotto questo punto di vista Prey tenta di cambiare le carte in tavola, mostrandoci non più uno scontro tra umani e Predator ambientato nella nostra epoca, bensì nel XVIII° secolo, più precisamente nel 1719, durante il periodo in cui le tribù indiane sono ancora padrone delle loro terre e libere di condurre come vogliono le proprie vite, seppur siano già venuti in contatto con le popolazioni europee affamate di conquista.

La protagonista della nostra storia è Naru (Amber Midthunder), una giovane Comanche che desidera con tutta sé stessa di diventare una temibile cacciatrice come suo fratello e di dimostrare a tutta la sua gente quanto sia abile ed esperta nel suo campo. Purtroppo, però, sembra che per lei la strada sia già segnata: dovrà divenire una curatrice, questo è il volere della sua tribù. Tuttavia, quando un altro cacciatore del suo clan viene ferito da un leone di montagna, proprio le sue capacità da curatrice le consentiranno di partecipare alla caccia e di mettere in mostra le sue competenze. Durante la missione, la ragazza, poco prima finire a terra stordita a causa dell’attacco del leone di montagna, ha modo di scorgere la sagoma di una creatura mai vista prima, una creatura che di lì a poco sarà protagonista di una carneficina senza pari.

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Il film parte con un’introduzione abbozzata della cultura Comanche, affinché si possa delineare al meglio il personaggio di Naru, interpretato in modo sicuramente pregevole dalla Midthunder, capace di convincere con la sua performance sotto tutti i punti di vista. L’attrice sfoggia buone doti sia sul lato emotivo, permettendo allo spettatore di empatizzare con lei, sia sul lato più prettamente fisico, risultando così una credibile cacciatrice ben preparata e in grado di affrontare anche i nemici più temibili. I personaggi che invece fanno da contorno alla storia, sono sviluppati quanto basta affinché svolgano bene il loro compito.

Interessante è stata l’idea di porre al centro dello scontro tra Yautja e umani la loro diversa filosofia venatoria e gli aspetti che ruotano attorno ad essa. I due diversi stili di caccia riescono ad equilibrarsi fra loro, arrivando quasi ad azzerare il grande dislivello che c’è tra nativi e Predator, sia in termini di forza fisica che tecnologicamente parlando. L’alieno, infatti, può avvalersi di armi avanzate ed evolute (seppur siano meno sviluppate rispetto a quelle dei Predator visti fin ora), ma non conosce il territorio bene come i Comanche, che cercheranno, in tutti i modi, di sfruttare questo aspetto a loro vantaggio per arrivare ad eliminare il loro avversario. Grande attenzione viene riservata all’utilizzo delle ambientazioni, siano esse le sconfinate praterie o le folte e tenebrose foreste del posto, il territorio non fa mai solo da sfondo alle vicende, ma si integra, con le sue peculiarità, come vero e proprio elemento narrativo, condendo così gli scontri di momenti gradevoli ed entusiasmanti, dove i protagonisti, affinché possano sopravvivere, dovranno cercare di sfruttare al meglio ciò che la natura mette a disposizione in quel momento.

Prey riesce dunque dove quasi tutti i suoi predecessori hanno fallito, con semplicità e senza superbia regala allo spettatore una buona dose di divertimento ed emozione. Probabilmente il destino di questo film non sarà quello di divenire un cult come avvenne per la pellicola del 1987, ma grazie alla sua freschezza e immediatezza, possiamo sicuramente affermare che sarà in grado di porsi come un eventuale punto di (ri)partenza per il franchise dedicato alla temibile razza aliena cacciatrice più famosa del mondo.

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