#Cannes74: Une jeune fille qui va bien, recensione del film di Sandrine Kimberlain

Une jeune fille qui va bien recensione film

La regista Sandrine Kimberlain è di origine polacca, la sua famiglia raggiunge la Francia nel 1933 e come ebrei polacchi si impegnano subito a integrarsi in un mondo e una cultura diversa dalla loro frequentando ambienti sociali ed artistici. Il padre di Sandrine, David Decca, è un esperto contabile e autore letterario e teatrale e proprio in teatro conobbe la futura mamma della Kimberlain.

L’arte drammatica nella famiglia dell’autrice del film è sempre stata di casa ed è per questo che la sua carriera ha inizio con ottimi risultati come attrice di film di qualità a cui seguirà un percorso misto che le farà affrontare anche la regia cinematografica. Questi dati biografici sono essenziali per capire la trama e lo scopo di Une jeune fille qui va bien (trailer), film che l’artista presenta in questi giorni alla 74esima edizione del Festival di Cannes nella sezione della Semaine de la critique.

La storia è quella della giovane Irène (Rebecca Marder), una ragazza ebrea francese figlia di polacchi immigrati che vive la gioia della sua giovinezza nell’estate del 1942. Irène scopre l’amore per i ragazzi e la passione per la recitazione teatrale mentre gli ebrei cominciano lentamente ad essere perseguitati, prima con l’indicazione della loro religione sulla carta d’identità, poi con l’obbligo di indossare una stella di David sui vestiti e lentamente perdono il diritto al lavoro o a comprare il pane nei negozi fino all’orrore prevedibile.

Sandrine Kimberlain esplora così le origini della sua famiglia in Francia, cercando di inserire nel racconto le genuine emozioni della giovinezza, violate e trasformate dalla brutalità della persecuzione. Il film non parla mai direttamente di nazismo o di deportazione, si concentra sulle emozioni di Irène, che celebra la vita e la gioia della sua età in ogni istante del racconto, ma nell’ombra ogni tanto ricompare l’orrore dell’olocausto, un modo delicatissimo e diverso per raccontare quel brano di storia dell’Europa che non dovremo mai dimenticare.

Il film esplora con grande cura i dettagli più umani di una famiglia che rimanda fortemente alle origini di Sandrine e con uno stile che ricorda Ozu Yasushiro mostra le abitudini e i momenti di gioia intima della famiglia in bilico verso la mostruosità dell’Olocausto. Une jeune fille qui si va bien si colloca ad un passo dall’inferno senza mai metterlo direttamente in scena, con l’attenzione dell’autrice che è sulla gioia della vita e sulla ricerca della felicità dei giovani protagonisti che faticano ad elaborare o capire l’avvento della mostruosità.

In fondo i ragazzi di Sandrine siamo anche noi e chissà se saremmo mai capaci di capire il ritorno di una mostruosità simile, di percepire la diversità fra regole rigide e discriminazione. In un momento storico come il nostro il film della Kimberlain è un monito forte e chiaro contro tutti i totalitarismi e le derive neofasciste o naziste che perturbano l’Europa contemporanea.

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