Evil Eye, la recensione del film su Amazon Prime Video

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Amazon Prime Video ha reso disponibile sulla piattaforma quattro nuovi film targati Blumhouse, casa di produzione a basso costo di film horror e thriller (almeno per la maggior parte), tra questi c’è anche Evil Eye (trailer) dei registi gemelli Elan e Rajeev Dassani.

Il film racconta di Pallavi, aspirante scrittrice di romanzi, che incontra casualmente in un bar l’affascinante Sandeep, uomo d’affari e di successo; tra i due scatta subito la scintilla ed in breve tempo diventano una coppia a tutti gli effetti. Tutto sembra andare per il meglio fin quando la madre di Pallavi, donna indiana molto superstiziosa, non inizia a nutrire dubbi sul nuovo fidanzato della figlia, il quale sembra avere qualche legame con un uomo che la picchiò molti anni prima.

I registi decidono di realizzare, almeno nelle intenzioni, un horror con un occhio verso Bollywood da cui provano a prendere in prestito i colori cangianti e le tipiche filosofie indù come la reincarnazione, tema preponderante che dovrebbe fare da traino per tutto il film. La storia però non decolla mai e della tensione non se ne vede nemmeno l’ombra, complice il fatto che la maggior parte di film si perde attraverso chiamate telefoniche oltreoceano (a dir poco ridondanti) tra India e Usa. La regia smarrisce presto la bussola, non riuscendo così a dare il giusto ritmo al film che perde d’interesse già poco dopo il primo atto. Il problema principale risiede totalmente nella sceneggiatura, difatti il tema della reincarnazione è stato trattato già in passato in tanti altri film (uno dei più recenti è l’interessantissimo Cloud Atlas delle sorelle Wachowski), però qui funge come un semplice pretesto per raccontare una comunissima storia sul rapporto fiduciario madre-figlia, non coinvolgendo mai realmente lo spettatore.

I dialoghi, sui quali poggia almeno il 90% del film, sono piattissimi ed appesantiscono tutto il ritmo, facendo così risultare i caratteri dei personaggi appena accennati. In più, altra aggravante, i registi decidono di fare un horror pulito e saturo di colori, adottando un profilo serioso e melodrammatico, laddove probabilmente serviva un’estetica più sgranata e sconfortante, così da incutere allo spettatore qualcosa che non sia necessariamente una noia mortale. Il plot twist finale, tra l’altro, non era nemmeno imprevedibile ma bensì inevitabile, altrimenti lo spettatore si sarebbe ritrovato davanti ad una storia che non avrebbe avuto alcun conflitto al proprio interno.

In conclusione, sembra che la Blumhouse abbia sbagliato totalmente medium per raccontare una storia del genere, la quale poteva funzionare per un cortometraggio o al massimo per un romanzo, complice un’eccessiva morbosità che schiaccia tutta la drammaturgia del film. Insomma, l’unica colpa di Evil Eye è che poteva essere qualsiasi altra cosa, fuorché un film.

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