#FrancoFilmFestival14: Sira, la recensione del film di Apolline Traorè

Come si può rendere consapevole una nazione di un problema che accade dall’altra parte del globo? Come si possono trasmettere le atrocità, le sofferenze e la violenza senza che queste diventino un mero spettacolo mediatico? Il cinema in questo può essere d’aiuto. Non in tutti i film, bensì in alcuni, si riescono a trattare argomenti sconosciuti con una consapevolezza del tema e soprattutto, con un profondo rispetto per esso. Esemplificativo è il caso di Io Capitano, che è riuscito a portare alla luce fatti che si pensava fossero ben noti. Realtà festivaliere di nicchia come quella del Franco Film Festival servono proprio a questo, dare la parola ad autori che possano raccontare le sofferenze di intere comunità lontane dalla visibilità mediatica. Ed è proprio tra le pellicole in concorso che troviamo Sira (trailer), un progetto ambizioso che vuole mostrare cosa avviene tra le dune di un violento deserto.

Sira, diretto da Apolline Traoré, rappresenta il Burkina Faso in concorso alla quattordicesima edizione del Franco Film Festival. La pellicola racconta la storia di Sira, una giovane donna facente parte di un gruppo di nomadi del deserto. Un vero e proprio clan che, dopo un violento attacco, viene sterminato quasi del tutto. La ragazza, dopo la brutale uccisione della sua famiglia d’avanti ai suoi occhi, sarà costretta a subire abusi e violenze di ogni tipo, per poi essere lasciata da sola in balia delle dune del deserto. Nonostante il destino sembra essere segnato, la protagonista cercherà di sopravvivere per assaporare la sua vendetta. Un incipit interessante, che spinge alla visione di un’opera che mantiene alta l’attenzione solo per i primi minuti.

La storia, già di per sé intrigante e con molti spunti di riflessione, viene arricchita con ulteriori tematiche che tolgono spazio al fulcro del film. Quello che dovrebbe essere un racconto di vendetta, di indipendenza femminile, diventa un modo per narrare una miriade di altri problemi come la religione e l’omofobia. Così facendo, il film perde la sua potenza, volendo raccontare tutto ma finendo per essere il nulla. Oltre ad un comparto tecnico che fa assomigliare l’opera ad un prodotto amatoriale, la vera nota dolente è la scrittura. La sceneggiatura, priva di profondità, è costellata da scelte narrative poco eleganti, utili a sostenere momenti al limite del surreale. Inoltre, la narrazione è pregna di salti temporali inspiegabili nei quali non si hanno informazioni su cosa sia successo.

La più grande delusione è proprio nella caratterizzazione di Sira, che, fin dalle prime inquadrature, sembra un personaggio rabbioso, ribelle, che reagisce alle avversità. Ma la realtà è ben diversa. La protagonista risulta incredibilmente passiva nello svolgersi degli eventi, limitandosi a sopravvivere all’ombra di un campo di predoni. Nessuna pianificazione della vendetta, nessun desiderio di rivalsa, solo una statica sopravvivenza che porterà il film ad un climax finale davvero poco incisivo, che spinge all’ilarità più che alla commozione.

Sira, nonostante le ottime premesse, è un’occasione mancata. L’occasione di poter raccontare, in una veste realistica e decisamente più sobria, atrocità nascoste agli occhi del mondo, piccoli e violenti massacri che non trovano spazio tra le pagine di giornale. Dopo tutto questo una domanda sorge spontanea: Cosa resta dopo aver visto Sira? Ciò che rimane è la suggestiva immagine di una donna con un fucile tra le braccia e un bambino sulle spalle, che non basta per risanare le carenze tecniche e narrative di una storia con un gran potenziale, purtroppo sprecato.

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