#FrancoFilmFestival14: Omi Nobu, la recensione del film di Carlos Yuri Ceuninck

Omi Nobu, la recensione del film

Presi dalla vita quotidiana, talvolta ci dimentichiamo che esiste un mondo fuori dalla nostra porta, ricolmo di realtà sconosciute ed inesplorate. Il cinema, in tal senso, rappresenta uno dei più grandi mezzi di diffusione di immagini, capace di ritrarre storie a noi ignote. Così, grandi autori come Rossellini con Stromboli- Terra di Dio o Vittorio De Seta con Isole di Fuoco, utilizzano il potere del cinema per mostrare le vite di uomini e donne lontani dalle grandi città. Popoli che vivono in simbiosi e in contrasto con la quiete e la furia della natura.

Volontà del genere sono rare da ritrovare nel cinema dei giorni nostri. L’ esigenza di raccontare piccole ed insignificanti storie, che non cambiano le sorti del mondo, sembra ormai svanita. Tuttavia, di tanto in tanto, anche oggi un autore decide di raccontare una realtà sconosciuta elevandola ad opera d’arte. Questo è il caso di Omi Nobu, documentario di Carlos Yuri Ceunick che rappresenta il Capo Verde in concorso alla quattordicesima edizione del Franco Film Festival.

Omi Nobu mostra la quotidianità di Quirino, l’ultimo uomo di un villaggio sperduto tra le montagne e il mare, che vive nei ricordi e nella consapevolezza della sua prossima morte. Il suo dilemma? Scegliere dove morire, se tra le macerie di un villaggio che vive solo nella sua memoria, oppure partire e ricominciare una vita destinata a finire molto presto, diventando un “Omi Nobu” (Uomo Nuovo). Aiutato da paesaggi mozzafiato, il regista mostra le rovine di un antico mondo ormai inglobato dalle montagne, dall’acqua e dalle rocce con inquadrature eleganti ed una splendida fotografia. Tra le maestose vallate echeggiano i pensieri di un uomo alla fine della sua vita che, con una sigaretta tra le mani e una radio a fargli compagnia, guarda la realtà che gli si para davanti come un pallido ricordo, diventando l’unica reliquia rimasta di quel villaggio ridotto in macerie.

Quell’ecosistema che aveva permesso ad una piccola comunità di sopravvivere ormai è svanito, scomparso, e Quirino si aggira tra mari e montagne che non riconosce più. Per quanto maestosa, quella natura pura ed incontaminata è ormai annichilita dal cambiamento climatico, che l’ha mutata, rendendola irriconoscibile agli occhi del protagonista. La pesca non è più ricca e varia come una volta, i campi sono ormai aridi, e perfino il poco cibo che rimane ha perso il suo sapore. Ormai tutto è ostile alla vita umana a causa dell’uomo stesso. Dunque, perché rimanere? Perché quella casa decadente, quelle strade deserte, quelle maestose montagne a picco sul mare e quella vecchia radio sono il simbolo di un’intera vita. Quirino, diventato un essere errante tra passato e presente, può solo ricominciare a vivere, anche se per poco.

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