#Venezia80: Poor Things, la recensione del film di Yorgos Lanthimos

Poor Things, la recensione del film di Yorgos Lanthimos, in concorso alla Ottantesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

Alla Ottantesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia Yorgos Lanthimos presenta in concorso Poor Things (trailer), adattamento dell’omonimo romanzo di Alasdair Gray. Bella Baxter (Emma Stone), odierno mostro di Frankenstein dalle fattezze non mostruose, è il prodotto di un esperimento di Godwin Baxter (Willem Dafoe), stravagante scienziato che ha riscattato il corpo di una donna suicida trapiantandogli il cervello del nascituro che portava in grembo. Poco tempo dopo la propria “nascita”, Bella è mossa da un inappagabile desiderio di libertà e sperimentazione, non ha alcuna intenzione di marcire nella caverna platonica che il padre e il promesso sposo vogliono profilarle, così approfitta della proposta del mascalzone Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo) per intraprendere un viaggio che le permetterà di girare il mondo.

Lanthimos insiste su temi già trattati nella propria filmografia, sulla smania di conoscenza, sulla curiosità innata dell’uomo, sul viaggio come brama di sapere. Torna anche sull’iper-protezione delle figure genitoriali, sulla reclusione forzata come antidoto alla pericolosità dell’esterno (elemento centrale in Dogtooth).
In Poor Things, però, il regista greco declina tutto in funzione di una riflessione femminista che è finalmente a fuoco e mai superficiale, che questiona le fondamenta delle convenzioni sociali con uno sguardo che mira soprattutto ad analizzare il concetto di sessualità nella gretta società ipermoralista di matrice cristiana. Lo fa sfruttando un personaggio svuotato da qualsiasi preconcetto, lucido perché privo di un’educazione che non potrebbe che avere radici patriarcali, una tabula rasa che si fa beffa delle convenzioni e rinnega (e non comprende) la subordinazione nei confronti del sesso maschile. Bella Baxter non conosce un “God” al di fuori del suo genitore (Godwin) e quindi non può esserne timorata, censurata; non è ingabbiata da norme morali e da mascoline pretese di possesso e dunque risponde solo all’eros, al piacere, alle pulsioni primarie. E allora ai balli eleganti della imbellettata nobiltà si inserisce con danze spasmodiche, all’esclusività e alla monogamia sostituisce una promiscuità affrancata da connotazioni negative, che è espressione pura di libertà e di controllo sul proprio corpo.

Una sessualità (anche questo leitmotiv della produzione del regista), quella proposta in Poor Things, vera, carnale, esplicita, dignificata anche nella forma della sua concezione professionale, criticata comunque nelle dinamiche maschiliste che la dominano. Una riflessione sagace e tagliente, che ridicolizza la mascolinità vulnerabile degli uomini (quella di Duncan Weddeburn su tutte) mostrandoli impotenti e succubi della loro necessità di avere il controllo, spaventati dalla possibilità di un’emancipazione femminile. Una meditazione che è poi veicolata da una comicità intelligente e macabra, mossa dall’anticonvenzionale (e dunque straniante) comportamento di Bella e fortificata dalla bislacca versione del dottor Frankenstein impersonata da Willem Dafoe. Ne risulta una commedia grottesca dura e pura, la prima nella produzione di Lanthimos così smaccatamente rivolta verso un umorismo continuo e centrale, l’unica senza alcun elemento prettamente tragico.

Un cambiamento nei toni che coincide con un balzo estetico non indifferente. Con Poor Things, Lanthimos approda definitivamente al manierismo visivo e compositivo, lo fa costruendo un mondo dai tratti steampunk irreale ed artefatto, puntando ancora sulla massiccia presenza del grandangolo che aveva caratterizzato La favorita, sfociando nella sfarzosità rococò (il cromatismo della prima scena riporta subito alla mente il Blue Boy di Thomas Gainsborough) delle immagini, in un pittoricismo sempre più accentuato. A non cambiare è invece un trattamento della colonna sonora che massimizza ed estremizza la sua natura di accompagnamento musicale, un commento sonoro che riscopre l’importanza narrativa che aveva nel cinema muto, che torna prepotentemente ad essere descrittiva, a divenire estensione acustica degli avvenimenti. Gli archi puntellano le azioni su schermo, stonano quando Bella esibisce la camminata imperfetta di un burattino (sembra quasi replicare il suono distorto degli ultimi giri di una bambola con carillon), soccombono alla poderosa inquietudine trasmessa da strumenti più gravi.

Yorgos Lanthimos firma una commedia dissacrante e impegnata, facendo di Poor Things un acuto manifesto femminista che rivela presto il vero significato del titolo, che non si riferisce ai freaks della “famiglia” Baxter o alle stranezze create da Godwin, ma agli uomini. Povere cose, povere creature gli uomini, svuotati da una donna che si riempie, distrutti perché privati del possesso; povere creature gli uomini che, patetici, si disfanno di fronte a ciò che non plasmano.

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