Utama – Le terre dimenticate, la recensione: il grido di allarme sul grande schermo

Utama Le terre dimenticate, recensione film Alejandro Loyaza Grisi

«Il tempo si è stancato»: è questa la frase ricorrente del film che rappresenterà la Bolivia agli Oscar 2023. Utama – Le terre dimenticate (trailer) ci porta nei territori più remoti del pianeta, quelli messi da parte dal resto del mondo e che a malapena vengono considerati sulle cartine geografiche. Il primo lungometraggio del giovane trentaseienne Alejandro Loyaza Grisi è già vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance per aver provato a trasmettere sul grande schermo un tema così delicato, quale la siccità ed il cambiamento climatico.

Mentre la nostra vita scorre in una parte della Terra in cui tutto è a nostra disposizione, dove cibo e acqua sono costantemente garantiti ed i nostri pensieri non sono indirizzati assolutamente a prevedere i giorni di pioggia e quelli di sole, c’è invece chi lotta dall’alba al tramonto con la paura della disidratazione. Non ci aspetteremmo mai di vedere campi così aridi, incolti e spaccati come a voler chiedere pietà ed aiuto. Siamo troppo concentrati sulla nostra realtà che quella al di fuori dello spazio comune sembra quasi astratta.

Ed è qui che invece gioca la sua parte Loyaza Grisi; il dramma riportato sullo schermo non è finzione, o meglio, ci piacerebbe che lo fosse ma è la pura realtà di ciò che sta succedendo nelle terre a noi sconosciute, fuori dal nostro radar ma esattamente all’interno del sistema mondo. Il film inizia con dei gong assordanti di campane come avvertimento, quasi a dirci che qualcosa di grave è già avvenuto e continua ad accadere. Ci troviamo tra gli altopiani della Bolivia, i paesaggi  con le inquadrature a campo lunghissimo vengono presentanti come se ci trovassimo in un film di Sergio Leone, ma questa volta non si tratta di un duello tra due cowboy ma tra Terra e uomo: due emisferi che insieme fanno ormai fatica a convivere.

Virginio e Sisa  (José Calcina e Luisa Quispe) sono  due anziani quechua che vivono da sempre in un angolo remoto del pianeta, passano le loro giornate nello stesso modo da anni e vivono di ciò che la natura ha messo loro a disposizione. Quest’ultima però sembra essersi messa da parte da quando la pioggia ha smesso di cadere e portare acqua ai pozzi del villaggio, che da tempo ormai non sono più fonte di sicurezza per la popolazione. Il respiro affannato di Virginio sembra essere la colonna sonora del film; il vecchio difatti mostra la sua debolezza  nei momenti in cui si trova faccia a faccia con Madre Terra ed i suoi amati lama. Nonostante ciò continua imperterrito la sua vita anche quando il nipote Clever (Santos Choque) prova a riportare i suoi cari nonni in città.

I dialoghi sono pochi e serrati proprio per dare ampio spazio alla vista dei luoghi così aridi, quasi come a dire di smettere di parlare ed agire. I momenti in cui i tre personaggi condividono una parte della loro giornata è la cena: è in quel momento che vi è uno scambio di battute seguito da un’inquadratura frontale con una luce fioca nella stanza, che fa pensare tanto a I mangiatori di patate, dipinto di Vincent van Gogh raffigurante la vita di poveri contadini scarniti e stanchi nell’unico momento di aggregazione familiare della giornata in cui viene messo a tavola tutto ciò che si è raccolto nei giorni di lavoro straziante sotto il sole.

La pellicola alle parole predilige i gesti, che di tanto in tanto risultano essere di piacevole compagnia facendo nascere anche un accenno di sorriso dinanzi al rapporto nonno e nipote. Quest’ultimo sembra essere messo a dura prova in quanto vi sono due mondi che si scontrano: tradizione e innovazione, alla quale Virginio non vuole cedere nemmeno di fronte ad una malattia mortale sulle spalle.

È un racconto di amore, preoccupazione, dolore e un’immensa voglia di speranza dinanzi ad una terra che si è stancata di dare senza ricevere nulla in cambio, se non disastri ecologici. Il film prova a portare un messaggio globale al resto della popolazione che sembra quasi assente dinanzi ai problemi del mondo e soprattutto delle terre dimenticate. E se come dice il detto «Tutto il mondo è paese», perché far finta di nulla e pensare soltanto al nostro angolino di Terra?

Dal 20 ottobre al cinema.

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