I predatori, la recensione: l’audace opera prima di Pietro Castellitto

I predatori di Pietro Castellitto

Vinicio Marchioni lancia uno sguardo ammiccante allo spettatore, poi una nuvola di fumo inonda il campo visivo, il predatore per eccellenza è pronto a guidare lo spettatore in un mondo fatto di predatori. Il film si presenta così, orgoglioso di sorprendere il pubblico con uno sguardo diretto in camera. I predatori (trailer) è uscito nell’Ottobre del 2020 come film destinato alla sala cinematografica. Dato che, considerato il periodo storico, lo sbarco al cinema non è stato prolifico, alcune sale italiane ne stanno riproponendo la visione in questi giorni. Il film, che si è aggiudicato il Premio Orizzonti come miglior sceneggiatura al Festival di Venezia, è l’opera prima di Pietro Castellitto, giovane attore romano che abbiamo visto di recente in Speravo de morì prima (recensione) e presto troveremo sul grande schermo nel tanto atteso Freaks Out di Gabriele Mainetti.

I predatori mette in luce le zone d’ombra della società odierna concentrandosi, in particolare, su personaggi borghesi da una parte, e proletari dall’altra. Tra gli abbienti troviamo Federico Pavone (interpretato dal regista stesso), con la sua famiglia apparentemente perfetta ma ricca di contraddizioni, e dall’altra parte troviamo Bruno (Dario Cassini), un venditore di armi, vittima della pressione di uno zio malavitoso. La narrazione non si perde in inutili paragoni tra le classi sociali, ma indaga la natura dei rapporti umani e smaschera in maniera grottesca i grandi luoghi comuni diffusi nella nostra società. Castellitto sembra voler fare il verso a se stesso e alla sua vita, scegliendo di calarsi nei panni di un borghese che non sopporta i borghesi ma che è pur sempre consapevole della sua posizione privilegiata.

Nel filone “borghese” della storia possiamo trovare alcuni elementi di surrealismo che ricordano vagamente Il fascino discreto della borghesia di Buñuel, dunque la regia è piena di contaminazioni, fresca, sembra distaccarsi dallo stile standard che troviamo in molti film italiani, con lo scopo di presentare un modello quasi internazionale. A tratti, però, la regia è troppo evidente, spicca sul resto scivolando in virtuosismi che stonano con la narrazione, che risultano spesso ingombranti. La scelta di inserire questi “orpelli” è probabilmente riconducibile a un tentativo da parte del regista di cucirsi addosso uno stile riconoscibile, ma toglie naturalezza al film, accresce la distanza con lo spettatore.

Non è facile stare dietro alla narrazione, dato che risulta frammentata e sfuggevole. L’idea probabilmente era quella di mostrare allo spettatore sprazzi di società, scene di vita quotidiana, personaggi in vetrina, ma Castellitto riesce a metà in questo intento. Soprattutto verso il finale traspare la sensazione che il regista non abbia saputo convogliare bene le sue mille idee (tra l’altro molto interessanti). Nel corso della storia sono presentati snodi narrativi che vengono portati avanti per un po’ e poi abbandonati, senza una degna conclusione. Anche per uno spettatore attento e consapevole risulta difficile stare dietro al filo del discorso e ci si ritrova, alla fine, con tante domande e poche risposte. Un film che permette al pubblico di interrogarsi è sempre un film che vale la pena guardare, però in questo caso Castellitto avrebbe dovuto mettere una chiusa per far arrivare ancora più forte il messaggio che voleva trasmettere al pubblico.

I predatori non trova una sua collocazione di genere, un po’ comedy, un po’ drama, un po’ thriller, e probabilmente questo è uno dei suoi punti forti che lo rende un film sfacciato, un film che ci regala un forte profumo di novità. In conclusione risulta un’interessante, seppur acerba, opera prima che sicuramente contribuirà a porre le basi di un modo fresco e giovane di fare cinema in Italia. New wave italiana? Troppo presto per dirlo. Intanto, curiosissimi, aspettiamo i nuovi lavori di Pietro Castellitto, sperando che ci convincano di più.

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