#GhibliSuNetflix: Ponyo sulla scogliera (2008)

#GhibliSuNetflix: Ponyo sulla scogliera (2008)

In un’epoca oppressa dalla realtà incombente, dalla crisi, dalle ansie e dalla necessità di essere sempre abbastanza, sempre al passo con gli altri e con le innovazioni, Hayao Miyazaki risponde con l’immaginazione, le favole, la tradizione dei ‘cartoni animati’, invitandoci a fermarci un attimo, a respirare e a riflettere su valori universali come l’amore, l’amicizia e le promesse, valori che col tempo tendiamo sempre di più a dimenticare. Così, ci permette di evadere dalla quotidianità e dalle nostre inquietudini, trasportandoci in una dimensione incantata, dove spazio e tempo sono distorti e dove l’ottimismo è all’ordine del giorno. Forse questa dimensione somiglia un po’ alla nostra infanzia, ai nostri ‘pensieri felici’.

Nel 2008 Miyazaki riesce nuovamente a conseguire il suo scopo grazie alla  realizzazione di Ponyo sulla scogliera (trailer), sceneggiato dallo stesso Miyazaki. Ponyo si presenta come una sorta di libera trasposizione de La Sirenetta di Hans Christian Andersen, di conseguenza si tratta di una vera e propria fiaba, la quale sembrerebbe essere indirizzata unicamente ad un pubblico composto da bambini. Eppure, Ponyo sembra creare un incrocio tra più generazioni, talvolta rivolgendosi soprattutto al pubblico adulto. Quest’ultimo, infatti, a differenza del pubblico infantile da educare, deve essere necessariamente rieducato.

Possiamo definire Ponyo come una Ariel di 5 anni. La protagonista non è altro che un pesciolino rosso che sogna di poter diventare umana per restare al fianco del bambino che l’ha salvata: Sosuke. Di fatti, è lo stesso Sosuke a dare alla bambina-pesce tale nome. Ponyo in giapponese significa ‘morbido’, ‘soffice’, ossia la prima sensazione al tatto data all’umano da parte del pesciolino. Ponyo, come ogni bambino e, in generale, ogni persona ostinata, insegue con tutta sé stessa il suo sogno. Questo concetto in età adulta sembra scomparire del tutto, presi dalla realtà e dalle incertezze. La protagonista, invece, ci ricorda che i sogni devono essere mantenuti vivi. Il sogno di Ponyo, però, è contrastato dal presunto padre Fujimoto (personaggio che richiama un altro capolavoro di Miyazaki Il castello errante di Howl), che per giunta cerca di distruggere il mondo degli umani e lasciare dominare quello del mare.

Sosuke, nel frattempo, è circondato dall’amore della propria famiglia e dei propri conoscenti. Nel corso della storia, assisteremo al confronto tra Fujimoto e la madre di Ponyo e del mare stesso, Gran Mammare, durante il quale decideranno la sorte della figlia: Ponyo sarebbe diventata umana con il prezzo di perdere i poteri e soltanto se Sosuke l’avrebbe accettata per quello che è, ossia un pesce. Ed è proprio qui che sta la sfida. Alla fine delle peripezie che si susseguono, Sosuke mantiene la propria promessa e, nella sua innocenza, ci insegna le basi del vero amore. Accettare una persona per ciò che è davvero, senza bisogno di cambiarla. Ecco il significato di amore che spesso sfugge, o che il tempo tende a rendere vecchio, quasi antico ed inaccessibile.

Ponyo sulla scogliera, però, non si limita soltanto a promesse, sogni e amore, ma instaura un vero e proprio dialogo con la natura. Il mare, infatti, diventa uno dei personaggi principali della storia, prendendo vita fino al punto di invadere quello spazio tipicamente terreno. A proposito del mare, il genio di Miyazaki, come del resto già aveva fatto ne La città incantata, introduce l’argomento attualissimo dell’inquinamento. Sono numerose le sequenze, specialmente iniziali, in cui Fujimoto si lamenta della malvagità e della stupidità umana nel distruggere il suo stesso pianeta, il suo stesso mare, ed infatti proprio la piccola protagonista rischia di morire a causa dei rifiuti gettati in acqua.

Quindi, nonostante l’atmosfera trasognante e ottimista del lungometraggio, alla quale contribuiscono anche e soprattutto le musiche di Joe Hisaishi, traspare in ogni caso una critica nei confronti dei comportamenti lascivi tipicamente umani. Ed è proprio per questo che si parla di una rieducazione dell’adulto, una rieducazione a cui ognuno di noi dovrebbe inevitabilmente sottoporsi per poter riflettere sui piccoli gesti e sull’importanza dei valori, in modo da poter ricominciare da zero e riprendere a crescere.

Ti potrebbero piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ho letto la privacy policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali ai sensi del Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e del D.Lgs. n. 196 del 2003 cosi come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018.