Irma Vep, la recensione: il nuovo labirinto di specchi di Assayas

Irma vep recensione serie Dasscinemag

Guardare la nuova serie di Olivier Assayas Irma Vep (trailer) è un po’ come perdersi in un labirinto di specchi. Adattata a partire dall’omonimo film del 1996 dello stesso autore, la serie HBO ̶ da noi trasmessa su Sky ̶ parla del tentativo di René Vidal (Vincent Macaigne), regista ormai da tempo dimenticato dal pubblico e dalla critica, di riprendere un suo progetto sperimentale degli anni ’90 e farne una serie per l’epoca dello streaming. Il progetto di Vidal è un remake del leggendario serial cinematografico Les Vampires di Louis Feuillade, girato ormai più di un secolo prima. L’occasione si ripresenta anche grazie alla possibilità di lavorare con la star Mira Harberg (Alicia Vikander) che, stanca dei ruoli monodimensionali a cui è stata relegata dall’industria hollywoodiana, dovrebbe interpretare la protagonista Irma Vep, membro dell’organizzazione criminale “Les Vampires” che terrorizza Parigi.

Nel corso della produzione, però, si verificheranno numerosi inconvenienti. René è incostante e continuamente sull’orlo di una crisi di nervi, ossessionato dal confronto con l’opera originale e con il suo passato, l’attore tedesco Gottfried (Lars Eidinger) rischia di mettere a repentaglio le riprese con i suoi comportamenti eccessivi e libertini, Mira è al centro di varie liaisons sentimentali e sperimenta una strana fascinazione nei confronti del suo personaggio.

Da questa base la serie di Assayas (o film lungo, come lo definisce René Vidal) costruisce un impressionante castello di carte di rimandi, citazioni e riflessioni. Numerosi “fantasmi” popolano l’universo di Irma Vep, alcuni appartenenti al mondo cinematografico, altri alla vita vera. Il fantasma forse più ingombrante è quello del film del 1996, opera spontanea e criptica allo stesso tempo, profondamente legata alla vita privata del regista, che aveva finito per sposare la sua star Maggie Cheung per poi divorziare nel 2001. Nella serie anche René Vidal ha sposato (e divorziato) la sua Irma Vep passata, l’attrice hongkonghese Jade Lee, e si confronta con l’impossibilità di una nuova Irma Vep dopo di lei.

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Nata come riflessione sul cinema francese di fine secolo, la versione precedente di Irma Vep era anche una sorta di dichiarazione d’amore nei confronti del moviemaking e di Maggie Cheung, catturata in tutta la sua vivace opacità. Nonostante i vari punti di contatto con la nuova serie, l’originale rimane un unicum nella carriera di Assayas e in tutto il cinema francese, selvaggio e indomabile, ancora figlio delle influenze punk del suo regista (che comunque traspaiono nella serie in alcune scelte non convenzionali di colonna sonora). Infatti, se lì si trattava di possessione vera e propria, in questo caso abbiamo più a che fare con una seduta spiritica.

Assayas decreta con questa nuova iterazione di Irma Vep l’impossibilità di tornare indietro, ma allo stesso tempo ci racconta nel dettaglio il luogo dove questa “evocazione” di spiriti è ancora possibile: il cinema, non solo nella sua forma finita ma – soprattutto ̶ nel suo farsi. L’altro fantasma che viene chiamato ad infestare la serie è quello del serial di Feuillade, così lontano e dimenticato nel tempo, così irraggiungibile eppure così vicino alla serialità contemporanea, fra numerosi personaggi, intrecci complicati e colpi di scena in rapida successione. In una sezione della “serie nella serie” si rievocano tutte le procedure meticolose che consentirono a Les Vampires di venire alla luce, comprese le concessioni ai produttori e agli investitori, le lotte con la censura e i rischi pratici connessi ad un’attività così precaria. Molti di questi rischi nel tempo sono scomparsi; si è perso forse il senso di avventura e di pericolo, come sostiene Gottfried, ma restano comunque i fantasmi. Provocatoriamente, Assayas mostra vari personaggi intenti a guardare il vecchio serial di Feuillade sullo schermo di un telefonino. È forse una nuova vita digitale per il cinema?

La continua tendenza del mondo mediale contemporaneo a riproporre proprietà intellettuali preesistenti è forse un segno della fragilità dei nostri tempi, ma non è per forza un segno di aridità artistica come alcuni sostengono. Forse, sembra suggerire Assayas, la funzione del cinema è proprio quella di sconfiggere la morte, passare ancora un po’ di tempo con i nostri personaggi preferiti anche dopo la fine delle loro avventure. Si è visto numerose volte come la rielaborazione digitale abbia permesso ad attori scomparsi da tempo di ritornare a visitare i set. Irma Vep, in questo senso, diventa proprio uno di questi fantasmi digitali, una musa che continuerà ad ispirare anche le generazioni future in direzioni che ancora dobbiamo comprendere.

Abbiamo detto che guardare Irma Vep è come perdersi in un labirinto di specchi; in questo senso, forse nel nome della ambivalente protagonista Mira Harberg si svela un ultimo indizio. Infatti Mira è anagramma di Irma, ed è anche derivato dal verbo latino “mirari”, ammirare, meravigliarsi. Ma soprattutto, nella sua pronuncia americana, Mira è incredibilmente simile alla parola Mirror. Uno specchio rivolto sia al passato che al futuro, per continuare a meravigliarsi insieme.

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