Tiger King, recensione della seconda stagione su Netflix

Tiger King 2 recensione docu-serie Netflix DassCinemag

Troppo spesso si sente dire che la realtà supera la fantasia; e per quanto ci si fermi a rifletterci, l’affermazione può risultare veritiera più per delle singole situazioni – episodi sporadici della vita – che per un’intera esistenza. Ma l’anno scorso, la docu-serie Tiger King smentì il mondo intero mostrando cosa realmente significasse andare oltre i confini dell’i(ni)mmaginabile. Attraverso la telecamera di Eric Goode e Rebecca Chaiklin, il mondo scoprì la “sbronza” dell’America per gli zoo privati e per i grandi felini facendo la conoscenza di Joe Exotic del suo Greater Wynnewood Exotic Animal Park (G. W. Zoo) e dell’improponibile schiera di persone che ci lavoravano o, per un motivo o per l’altro, ci gravitavano attorno.

La seconda stagione di Tiger King (qui il trailer) riprende da dove si era interrotta la prima. Joe Exotic è in prigione con l’accusa di tentato omicidio nei confronti dell’acerrima nemica Carole Baskin, a sua volta sotto i riflettori a causa delle indagini per la scomparsa del suo multimilionario ex marito Don Lewis avvenuta 23 anni fa.

Per quanto possa sembrare inutile da dire, durante la visione di Tiger King è bene tenere a mente che si sta assistendo ad un documentario: un resoconto di fatti che sono realmente avvenuti e che si stanno ancora svolgendo proprio in questo momento. Una raccomandazione del genere può sembrare più che mai superflua, ma non è così. Il mondo mostrato da Chaiklin e Goode è inquietantemente reale, le persone che lo abitano sono vere, non si tratta di attori alle prese con delle interpretazioni grottesche. Ecco, forse il termine più appropriato da cui conviene partire per approcciarsi ad una storia come quella di Tiger King è proprio questo. Il grottesco è il registro espressivo che permette di restituire il reale attraverso un ispessimento delle linee che lo definiscono.

É, dunque, attraverso un’esagerazione che ci viene riconsegnata una “verità” del mondo e delle cose oltre ogni verosimiglianza. Questa esagerazione può toccare vari aspetti, che in generale coinvolgono il corpo come qualcosa di appartenente alla natura da un lato, e la maschera come strumento, mezzo, per la vita sociale dall’altro. Ma è proprio la consapevolezza che si tratti di una maschera l’elemento che “tiene al sicuro” la società dalle possibili ed imprevedibili derive verso le quali la rappresentazione grottesca può portare. Tiger King mostra, attraverso la persona (e non personaggio!) la maschera sociale dell’individuo che viene meno perché con Joe Exotic non siamo più davanti ad una maschera grottesca (che è sempre, per quanto spaventosa, una rassicurante rappresentazione) ma davanti ad un volto grottesco. Joe Exotic non recita ma è Joe Exotic.

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In questa seconda stagione, come succedeva nella prima, la questione dei grandi felini maltrattati passa in secondo piano per mostrare allo spettatore tutti i volti, e non più maschere, grotteschi che gravitano attorno alle varie realtà degli zoo privati. Se è vero che un re è tale solamente entro i confini del suo regno, i vari zoo privati che ci vengono mostrati sono dei moderni Xanadu con i propri Foster Kane che regnano incontrastati su una piccola porzione di realtà distorta. In queste realtà-altre è possibile chiedere la grazia presidenziale per un uomo accusato di omicidio; lanciare dei cuccioli di tigre sui clienti per mostrare <<come si gestisce un grande felino arrabbiato>>; far passare degli sbiancanti anali come prodotti per la cura del viso; e trattare le proprie dipendenti come delle schiave sessuali in pieno stile Manson Family.  

Ciò che lascia ancor di più a bocca aperta nella seconda stagione di Tiger King è scoprire come la serie diventi una sorta di vera indagine antropologica su persone che potremmo credere possibili, o persino pensabili, solamente in un film. Trafficanti, sicari, autisti privati, criminali, sceriffi e detective “da poltrona” sono solo alcuni degli elementi di un campionario umano vastissimo, e che ci mette davanti al fanatismo e alla deriva che l’America ha imboccato negli ultimi anni; in un’auto-narrazione che spesso sconfina nel furore, nella violenza e nel desiderio di prevaricazione del prossimo come unico fine possibile e nel superamento di ogni confine o limite… fino ad arrivare a minacciare di morte i creatori stessi della serie.

Questo e molto altro è la seconda stagione di Tiger King, che amplia i confini della prima stagione spingendosi ancora più in là, nell’obiettivo di fare il resoconto di una delle più assurde tra le storie vere di un paese sempre più in bilico tra il mantenersi reale ed il diventare la parodia di sé stesso. Disponibile dal 17 novembre su Netflix.

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