L’apertura di Nosorih (trailer) è probabilmente una delle vette di questa edizione del Festival di Venezia. Il film, diretto dal regista ucraino Oleh Sentsov e presentato nella selzione di Orizzonti, si apre con un movimento della macchina da presa circolare, una sorta di panoramica a trecentosessanta gradi; un’ellissi che riassume i primi vent’anni di vita del nostro protagonista, Vova, o meglio, “Rhino” (Serhii Filimonov).
Un lungo arco temporale riassunto attraverso i movimenti dentro le quattro mura di casa, attraverso discorsi, feste, le prime bravate adolescenziali. Distinguiamo il passaggio degli anni soprattutto attraverso i discorsi, che vertono sullo stato dell’URSS e riflettono sui grandi cambiamenti: dalla successione dei segretari del PCUS all’intervento in Afghanistan. Sarà proprio questo conflitto a segnare la fine della sequenza e a marchiare Vova. Giungerà notizia dal Medio Oriente della morte di suo fratello, alla prima spedizione militare.
Più che spettacolarizzare, però, l’inizio di un film improntato già di primi secondi all’azione, questa sequenza è quanto mai funzionale al suo regista per spianare la strada verso un discorso preciso. Rhino è un ragazzo che viene letteralmente scolpito dalla violenza (il suo soprannome viene proprio dal bernoccolo che ha sulla fronte); è cresciuto in un contesto cui l’unica strada possibile, rotto l’equilibrio accennato pocanzi, sembra essere quella della malavita. L’ingresso nel secondo atto di Nosorih è segnato da un altro stacco: troviamo Rhino in macchina con un agente, cresciuto, pentito (?). Quello che porta avanti è un discorso al passato, segnato da (didascaliche) riflessioni su quanto, in determinate situazioni, sia praticamente difficile distinguere quanto “gli adulti sono peggio”.
Nessuno, tantomeno lui, inebriato dalla lussuriosa vita da fuori legge, sembra far caso a quanto in quel contesto venisse trascurato; in primis dalla polizia, che di fronte a qualsiasi strage, partita sempre da qualche screzio tra gang, passa ogni volta avanti, limitandosi alla punizione. Ed è proprio attraverso questa seconda fase, cui si alterneranno scene di cruda e sanguinosa (in grandi quantità) violenza, che Sentsov si muove su binari paralleli, distanti dal gangster movie classico, nonostante le tracce di influenze come Good Fellas siano più che evidenti. Rhino è figlio dei suoi tempi, una pedina della società e vittima di un mondo che non offriva altro. La redenzione diventa una resa dei conti con sé stesso, un mostro da sopprimere, anche se “Tutto si può perdonare ma non tutto si può dimenticare”.
E come in Al Garib, o anche Deserto Particular, anche Nosorih riflette sui dubbi d’identità, sul senso di appartenenza alla propria terra e sui valori cui si fa riferimento e si guarda per maturare. Non si può allora, arrivati a questo punto, prescindere dal significato politico che porta con sé la vicenda extra-filmica di Sentsov, arrestato nel 2014 a seguito dell’annessione russa della Crimea con l’accusa di aver preparato atti di terrorismo (il regista è stato rilasciato nel 2019), che configurano il film con atto di risposta ad uno stato che forse non è così tanto cambiato.