Strange Way of Life, la recensione: un western che sbaglia la mira

Strange way of life

«Per il successo ci vuole l’eccesso» diceva il personaggio di Maggie Smith in Downton Abbey. Pedro Almodóvar, però, probabilmente non ha visto la famosa serie TV inglese poiché il suo nuovo cortometraggio, Strange Way of Life (trailer), dimentica proprio di fare questo: eccedere.

Il famoso regista spagnolo di Dolor y Gloria firma questo nuovo esperimento western che vede protagonisti Silva (Pedro Pascal) e Jake (Ethan Hawke). La storia si apre con i due amici che si rincontrano dopo quasi vent’anni. Silva, infatti, proprietario di un ranch, attraversa l’ovest per far visita allo sceriffo di un piccolo paese, ovvero Jake. Grazie ad alcuni gesti velati e poi dei flashback espliciti, scopriamo che i due hanno avuto una storia d’amore che ancora brucia sotto la loro pelle. Il vero motivo, però, per cui Silva ha voluto rivedere il vecchio amore è per convincerlo a non giustiziare suo figlio, colpevole di omicidio.

Una trama lì per lì semplice, adatta a un cortometraggio che deve racchiudere in pochi minuti storia, sviluppo dei personaggi e significato. Nonostante la sua chiarezza e linearità, Almodóvar riesce lo stesso a fare un pasticcio sia registico che di sceneggiatura, creando un piatto che non è né carne né pesce. Partendo dalla scrittura, il problema più grande non è tanto la storia quanto i tempi e la gestione delle informazioni. In trenta minuti di film, Almodóvar decide di dilatare tantissimo i momenti di stasi nei quali il pubblico assiste a scene che, nel concreto, non fanno avanzare la trama. Ecco allora Silva e Jake che si ubriacano e baciano in Messico, un cantante latino con una chitarra e una canzone drammatica, un litigio al mattino dopo una notte di passione.

Strange wat of life

Per ovviare ai tempi stretti, quindi, il regista opta per la pratica soprannominata dalla serie Boriso dimo”, ovvero portare avanti la storia attraverso i dialoghi dei personaggi. Così il pubblico si sorbisce due minuti di Silva che parla dell’innocenza del figlio, tre minuti di Jake ferito perché è stato abbandonato dall’amore della sua vita, quattro minuti dei due amanti che ricordano il loro primo incontro. Sembra che Almodóvar si sia dimenticato l’unica regola sacra del cinema: mostrare, non dire.

Infine, arriviamo alla messa in scena, la quale spesso salva le sorti di molti prodotti. L’immaginario western viene abbastanza rispettato: ci sono i cavalli, la polvere, l’ufficio dello sceriffo e la casa nella prateria. Almodóvar osa, però, nei costumi con camicie sgargianti, gonne ampie e coloratissime e una giacca di jeans verde indossata da Pedro Pascal. Un richiamo fortissimo ai vecchi musical del cinema classico dove cowboy e pastorelle si mettevano a cantare tra una sparatoria e l’altra. Cosa volesse dirci Almodóvar con questa scelta, però, non si capisce.

A strange way of life, come detto, non è né carne né pesce e, proprio per questo, non è né bello né brutto. Sembra uno di quei film incompleti in cui il regista ha provato ad osare ma qualcosa lo ha fermato durante il percorso. Forse ci sarebbe voluta più azione e meno dialoghi, più azzardi nella messa in scena e meno impianto da western classico. Insomma, ci voleva qualcosa in più perché, in questo modo, A strange way of life è solo come un cowboy che a mezzogiorno sbaglia mira durante un duello: un pistolero discreto.

Il film è in sala dal 21 settembre e poi in esclusiva sulla piattaforma MUBI.

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