The Father, la recensione: la senilità secondo Florian Zeller

The Father di Florian Zeller

Florian Zeller è stato proclamato dalla rivista Times «il più eccitante commediografo del nostro tempo». I suoi spettacoli parigini hanno fatto il giro del mondo e in particolare il suo testo Le père è diventato il lavoro più rappresentato della sua carriera vantando già due adattamenti prima di The Father (trailer), sua prima regia cinematografica.

La prima versione audiovisiva del capolavoro di Zeller è stata diretta da Christophe Charrier ed ha ottenuto notevoli consensi in televisione; la seconda è stata una produzione cinematografica francese intitolata Florida e diretta da Philippe Le Guay, già regista del pregiato Molière in bicicletta, con la straordinaria interpretazione del compianto Jean Rochefort nel ruolo che oggi spetta ad Anthony Hopkins.

Il nuovo adattamento per il cinema però è passato attraverso le capaci mani del premio Oscar Christopher Hampton (Le relazioni pericolose), un talento poliedrico capace di passare dal ruolo di librettista a quello di commediografo fino a sceneggiatore specializzato proprio in adattamenti teatrali. Zeller ha ripreso il suo testo dopo l’intervento di Hampton per assumere il ruolo di regista avvalendosi di un robustissimo Hopkins e della magnetica Olivia Colman, supportati dagli altrettanto straordinari Olivia Williams e Mark Gatiss.

La storia si sviluppa dal punto di vista di un uomo anziano che scivola lentamente nella patologia spaventosa dell’Alzheimer non riuscendo più a riconoscere i suoi cari o la suddivisione spaziale e temporale del suo quotidiano. Il film è costruito attraverso i salti ed i buchi di memoria del protagonista che conquista fin dall’inizio lo spettatore costretto a soffrire con lui l’agonia di una malattia degenerativa irreversibile e incurabile.

The Father è una lucida denuncia sulla condizione di vita e le problematiche emotive e sociali di una persona affetta dal morbo e ci obbliga a guardare la malatia dal punto di vista del malato, confrontandoci con la mediocrità umana, la disperazione del protagonista e il suo tormento esistenziale. Hopkins è meraviglioso e coinvolgente, così come il resto del cast di solidissima formazione che tiene il gioco alla perfezione e, sebbene la struttura tradisca la sua natura teatrale, questa forma di claustrofobia scenica priva quasi interamente di esterni aiuta il film a creare un ambiente perturbante, qualificando un ottimo lavoro necessario e trascinante.

Ti potrebbero piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ho letto la privacy policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali ai sensi del Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e del D.Lgs. n. 196 del 2003 cosi come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018.