La sentinella, la recensione del film su Netflix

La sentinella (trailer) è un film del 2021 diretto da Julien Leclercq e prodotto da Julien Madon, distribuito da Netflix. Un revenge movie superficiale.

Klara (Olga Kurylenko) fa parte dell’esercito francese e dopo aver combattuto in Siria viene richiamata in patria per far parte dell’operazione Sentinella che riguarda la prevenzione di attacchi terroristici ai danni della Francia. Klara soffre particolarmente il cambio repentino della sua vita: passa in un attimo da rischiare la vita sul campo di battaglia a pattugliare la costa francese dispensando indicazioni stradali ai turisti più che difendere la patria. Con il pieno sostegno di sua madre, Tania (Marylin Lima), sorella di Klara, decide di portarla a ballare per distrarla e per permetterle di riprendere una vita normale. In discoteca, però, Tania sparirà con un gruppo di ragazzi russi per poi ritrovarsi vessata e in coma in ospedale il giorno dopo. Klara, accecata dalla rabbia, decide di cercare l’uomo che ha ridotto in quello stato sua sorella per vendicarla, mettendo da parte il lavoro e i principi su cui esso si basa.

La sentinella segue una trama molto lineare e senza troppi colpi di scena. Il personaggio di Klara riesce ad entrare in empatia con lo spettatore grazie al suo conflitto interiore, non certo attraverso il racconto che ce ne fa il regista. Una storia coinvolgente, sebbene non originale, ma che perde il proprio potenziale a causa della sua durata ridottissima (un’ora e venti minuti) e quindi a causa della massima velocità con cui la trama viene sviluppata. Un film può essere “veloce” per due motivi: a causa del ritmo serrato imposto dal regista e dallo sceneggiatore che tiene la tensione alta, oppure a causa della superficialità con cui la storia viene raccontata.

La sentinella rientra nel secondo caso e scade nell’essere un revenge movie superficiale. Un film, per essere considerato “d’azione”, non ha bisogno di tutta questa velocità di sviluppo nella trama. Quest’ultima assume spessore solo se affiancata al ritmo di una sceneggiatura che indaga nelle profondità dei personaggi e ce li fa conoscere, amare e odiare. Ad esempio, l’antagonista è un ricco russo. Questo basta per inquadrare la sua figura, che non ha nessuna caratterizzazione se non quella del solito, ridicolo accento che lo contraddistingue. Un personaggio così ambiguo, filantropo di giorno e depravato di notte, che offre il potenziale necessario a creare qualcosa di davvero interessante ma che viene semplicemente rappresentato come il villain di turno.

La superficialità agisce di pari passo. Infatti, se la caratterizzazione del “cattivo” viene totalmente glissata dal regista, in parte lo è anche quella di Klara. In parte, appunto, perché di lei viene mostrato qualche tic tipico dei veterani di guerra: particolari di mani che tremano, piedi che picchettano nervosamente sul pavimento, svenimenti improvvisi, ma niente di più.

La riprova della durata troppo ridotta del film è il bisogno di un epilogo per concludere davvero la narrazione. Una chiusura di 2 minuti che risolve l’intreccio e che si sarebbe potuto rivelare davvero soddisfacente se non fosse stato frettoloso come tutto il resto del film.

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