#IFF19: Smoke Sauna Sisterhood, la recensione del film di Anna Hints

Smoke Sauna Sisterhood, la recensione di DassCinemag

A pochi minuti dall’inizio della proiezione di Smoke Sauna Sisterhood (trailer), con lo sguardo immerso nell’immagine come fossimo vittime di un incantesimo, notiamo del vapore oltrepassare i bordi dell’inquadratura ed espandersi lentamente sino a raggiungere ogni angolo della sala. Sui tessuti che ricoprono le poltrone e sulla nostra pelle – che non avverte più il peso dei vestiti – si dispongono, una ad una, miriadi di microscopiche gocce d’acqua. Gli altrettanti pori che punteggiano l’epidermide, per il calore, si dilatano e il sudore può farsi strada attraverso di essi. Cadiamo in uno stato di assoluta rilassatezza e totale abbandono, che solo il caldo e avvolgente vapore può donare. La sensazione, ora, è quella di fluttuare nell’aria. Anche i pensieri attraversano la mente con un’andatura più pacata. È adesso possibile contemplarli con sereno distacco e accettazione, mentre ci passano accanto, per poi farsi sempre più rarefatti verso l’orizzonte. Tutto si è fatto più limpido e chiaro, laddove, oltre al calore e all’umidità, non vi è alcuna altra distrazione.

Addentrarsi nello spazio nebuloso e ristretto di una sauna, così come in quello buio e limitato della sala di un cinema, implica il sottoporsi ad un processo di purificazione che, stimolando primariamente l’organo del tatto da una parte, e la percezione visivo-uditiva dall’altra, induce l’espulsione dei residui tossici stagnanti nell’organismo e nello spirito. In questo senso, il lungometraggio d’esordio della regista e sceneggiatrice estone Anna Hints si configura come un’opera di metacinema. Presentato al Sundance Film Festival 2023, dove ha vinto il Directing Award nella World Cinema Documentary Competition, e premiato come Miglior documentario agli European Film Awards dello stesso anno, Smoke Sauna Sisterhood si è di recente aggiudicato lo stesso riconoscimento alla XIX edizione dell’Immaginaria Film Festival. Il film ritrae un gruppo di donne che, nella regione Vana-Võromaa dell’Estonia sud-orientale, si riunisce regolarmente per praticare il sacro rito della sauna al fumo – dal 2014 iscritta al Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.

Smoke Sauna Sisterhood, la recensione di DassCinemag

Si dice sia da venerare il membro della comunità che si occupa di raccogliere, prelevandola da un pozzo, tutta l’acqua necessaria. Questa viene versata sulle pietre roventi per generare vapore, quindi aumentare l’umidità e indurre la sudorazione. Le donne, denudatesi, entrano nella stanza così predisposta e siedono sulle superfici lignee ai suoi lati, posizionandosi a vari livelli di altezza. Ognuna può vedere le altre da un’angolazione diversa, riuscendo a visualizzarne con più comodità una determinata parte del corpo piuttosto che un’altra. Non si tratta sempre del volto. Spesso ci si perde con lo sguardo tra le curve e le pieghe dei fianchi, dei ventri e dei seni delle compagne: sembrano delle sculture.

Mentre una di loro racconta un’esperienza personale, può capitare che qualcun’altra, seduta a distanza, non possa guardarla negli occhi. Ciò non lede l’empatia che, in ogni caso, si stabilisce tra colei che narra e colei che ascolta. In quel momento, sono tutte parte di una stessa, unica, entità divina che ne connette gli spiriti. Ognuna sente la gioia e il dolore, la tristezza e il rancore dell’altra. La sauna è una sorta di confessionale, in cui, piuttosto che dichiarare i propri peccati per ricevere il perdono altrui, si accetta ciò che si è vissuto esponendolo all’orecchio di un uditorio non giudicante.

Con l’eccezionale maestria che sola può permettere di raggiungere un simile traguardo, Hints rende i tecnicismi della propria regia trasparenti. La macchina da presa cambia ripetutamente posizione, scegliendone, però, sempre una tra quelle che possono occupare anche le donne. Così, si integra perfettamente alle compagne, fino a non risultare loro una presenza invadente. D’altra parte, lo spettatore percepisce probabilmente senza esserne consapevole, lo sguardo adottato dal film come un prolungamento del proprio: ciò che coglie delle donne e dell’ambiente in cui si trovano non è niente di diverso rispetto a ciò che ciascuna donna vede delle altre e, in generale, di quello che le è attorno.

Smoke Sauna Sisterhood, la recensione di DassCinemag

Con il suo delicato approccio registico, quindi, Hints mantiene la temperatura emotiva che – accanto allo spazio fisico della sauna – fa sentire le sue muse libere di esprimersi con incontaminata naturalezza. Nonostante possa suonare contradditorio rispetto a quest’ultimo punto, non è esagerato affermare che la chiara divisione per blocchi tematici costituisce la ragione di stabilità e il punto di forza del documentario. Dalla visione è facile dedurre che le donne abbiano ricevuto, per ciascuna fase di ripresa, almeno un’indicazione relativa al tema su cui si sarebbero dovute soffermare, riflettendo insieme e condividendo testimonianze a riguardo. Le compagne di Smoke Sauna Sisterhood parlano di come vedono il loro corpo, della loro vita sessuale, dell’omosessualità di una di loro e del suo processo di accettazione e coming out, del rapporto contradditorio con i loro genitori, di aborto, di mestruazioni e, infine, di stupro.

I vapori della sauna hanno nel film un’importanza centrale e tanto il direttore della fotografia Ants Tammik quanto il supervisore agli effetti visivi Hendrik Proosa, ognuno con il proprio lavoro, li valorizzano con particolare eleganza. Vortici fluttuanti di fumo bianco vengono spesso inseguiti dalla macchina da presa, come fossero essi stessi un protagonista. Sono anche il motivo visivo che, più frequentemente, accompagna le transizioni da una sequenza all’altra, ma anche dalla dimensione chiusa dell’interno della sauna a quella esterna, naturale e aperta. Le dissolvenze incrociate, così lente e gradualmente sfumate, rendono i passaggi di montaggio quasi impercettibili. Forse i fumi sono la negatività espulsa dalle donne – in pensieri e liquidi corporei, che se ne sta andando via. Forse rappresentano l’entità divina che lega inscindibilmente tutte le compagne. Spesso tra i fumi, appunto, se ne colgono i tratti del volto.

Sembra appartenere a lei la voce narrante, carica di conoscenza e vissuto, che, come una sorta di vecchia saggia, ci guida tra le diverse pratiche che compongono il sacro rituale della sauna. Si tratta anche di una tradizione sonora, fatta di canti, corali e propiziatori, dal potere ipnotizzante. Il loro ritmo ripetitivo, inevitabilmente, rapisce lo spettatore, che per un momento abbandona la consapevolezza di sé. I canti intonati dalle donne, poi, sfumano nella musica minimalista del compositore Edvard Egilsson, che abilmente concorre a regolare, scena per scena, il grado di tensione del film.

Se già il cinema in senso lato può avere una presa straordinaria sull’interiorità dello spettatore, la visione di Smoke Sauna Sisterhood è un’esperienza che, certamente, raggiunge livelli trascendentali, anche e soprattutto grazie alla sua eccezionale perizia tecnica. Dalla sala se ne esce purificati.  

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