Shiva Baby, la recensione: il promettente esordio di Emma Seligman

Shiva Baby su Mubi

Approdato su MUBI l’11 giugno, Shiva Baby (trailer) è uno dei debutti più promettenti degli ultimi anni. Diretto da Emma Seligman, regista canadese classe 1995 alla sua prima esperienza di lungometraggio, il film è un adattamento del corto omonimo, suo progetto di laurea alla New York University.

Shiva Baby è ispirato all’esperienza di vita della sua autrice, una giovane donna bisessuale ebrea, e al conflitto costante con i suoi desideri professionali, le aspettative della sua famiglia e il difficile rapporto con la comunità religiosa e sociale del suo quartiere. Emma Seligman, per rendere al meglio le preoccupazioni e le ansie delle sue coetanee, ambienta il film in un’unica giornata e in un unico luogo, il giorno dello shiva indetto per celebrare una parente defunta. Partendo da una situazione tradizionalmente considerata di disagio come quella delle riunioni familiari, Shiva Baby trasforma questo imbarazzo in terrore mantenendo un tono da comedy e una struttura teatrale.

I 77 minuti del film vengono retti interamente da una sceneggiatura dal ritmo veloce e incalzante che fa largamente uso di overlapping dialogues, contrastando la stasi dell’unità di luogo e di tempo seguendo la tradizione di film come 12 Angry Men e Carnage. I dialoghi tra i personaggi in conflitto sono delle vere e proprie battaglie verbali impreziosite di dettagli che aumentano la tensione. Attraverso lo script emerge la difficoltà della giovane protagonista a prendere coscienza del suo passaggio all’età adulta e la sua paura è esemplificata dalle numerose bugie che racconta a chi le sta intorno che vengono a galla in modo prorompente durante lo shiva. La situazione di disagio della protagonista Danielle è percepibile a livello fisico dallo spettatore ed è amplificata dalle pause in sceneggiatura, dai numerosi equivoci che vengono sempre resi con sarcasmo e ironia e dalla colonna sonora con temi di archi da film horror.

Uno dei temi principali del film è quello del sesso e in particolare della sexual validation, centrali nella seppur breve filmografia di Seligman, come si può evincere da Void (2017) cortometraggio realizzato come progetto universitario che affronta la correlazione tra autostima femminile e dipendenza dalla pornografia. In Shiva Baby si introduce anche la questione del sex work, in quanto il nucleo centrale del film riguarda il lavoro di Danielle, quello della sugar baby, termine che designa una persona, di solito una giovane donna, che intrattiene relazioni sessuali con uomini più grandi in cambio di denaro.

Allo shiva Danielle incontra per caso proprio uno dei suoi “clienti” (forse l’unico), Max, e durante tutta la cerimonia cerca in tutti i modi di flirtare con lui e attirare la sua attenzione nonostante la presenza della moglie. In questo modo la giovane tenta di rafforzare la sua autostima in un momento degradante cercando di utilizzare il suo sex appeal, ma il rifiuto dell’uomo alle sue avances la fa sprofondare in un imbarazzo sempre maggiore. Per l’autrice, infatti il film riguarda anche l’amara constatazione che il potere sessuale delle giovani donne in realtà non è così persuasivo come credono e che la loro autostima non potrà mai essere soddisfatta dall’essere desiderate sessualmente.

Tra i numerosi conflitti del film c’è anche quello tra Danielle e la sua bisessualità: la queerness della protagonista ha infatti un ruolo importante nel lungometraggio ed è personificata da Maya, la sua ex fidanzata che si presenta come tutto ciò che lei non è, bella, di successo, prossima alla laurea e sicura di sé. Tra le due giovani nascono presto degli scontri verbali che aumentano l’angoscia della protagonista, uniti alle varie reazioni imbarazzate delle famiglie chiaramente a disagio riguardo la relazione. Maya rappresenta un tipo di donna molto più consapevole di sé e della propria sessualità, di cui Danielle sembra in qualche modo vergognarsi, due tipi di reazione assolutamente realistici e legati alle circostanze sociali di cui la stessa autrice racconta di aver fatto esperienza.

Shiva Baby si concentra infatti anche nel tratteggiare i rapporti tra donne e i vari sbilanciamenti di potere che ne derivano, dove Danielle si trova sempre in una situazione di “svantaggio”: Maya è in grado di dominarla verbalmente, la madre la mette in costante imbarazzo con le sue domande e Kim, la moglie di Max, è una imprenditrice di successo che la guarda dall’alto in basso per ovvie ragioni. Danielle viene posta così davanti a diversi modelli femminili con i quali non si riconosce e a cui si sente quasi costretta a aderire apparendo decisamente inadeguata al confronto. Oltre a costituire una situazione familiare ad ogni persona che si trova nella primissima età adulta, questa inadeguatezza spinge anche a riflettere sulle possibilità limitate di ruoli che vengono proposti alle giovani donne.

Un aspetto che vale la pena di approfondire di Shiva Baby è anche il suo processo produttivo. Emma Seligman infatti racconta di aver pensato il corto di laurea già in vista di una sua espansione in lungometraggio. Il processo di raccolta fondi che ne è seguito si è diffuso tra le persone più vicine alla regista e anche all’attrice protagonista Rachel Sennott, sua grande amica e prima grande fonte di motivazione. Grazie ad un passaparola, Seligman e i produttori sono riusciti a girare Shiva Baby con soli 250.000$, con una crew di amici e quasi interamente al femminile. Nonostante ciò, il film appare molto curato in tutti i suoi dettagli, rimandando a molte delle ispirazioni dell’autrice, come il cinema indipendente americano di Cassavetes e di Gia Coppola.

Nonostante la pandemia che ha ritardato la distribuzione del film, Shiva Baby è stato fortemente acclamato dal pubblico e dalla critica per lo sguardo empatico e critico ai temi affrontati e per la costruzione meticolosa della suspense, designando Emma Seligman tra i nuovi talenti più interessanti del cinema statunitense.

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