Memoria, la recensione: verso un’assoluta meditazione

Memoria recensione film

Dopo aver sentito un forte boato nel pieno della notte, Jessica (Tilda Swinton) si sveglia di soprassalto e nei successivi giorni non riesce a pensare ad altro. Durante la ricerca per dare un’origine concreta a quel suono difficilmente identificabile, la donna andrà a trovare sua sorella (Agnes Brekke) in ospedale, un ragazzo (Juan Pablo Urrego) tecnico del suono e facente parte di una band punk, un’archeologa (Jeanne Balibar) che ha rinvenuto antichi resti umani in un tunnel, ed infine un uomo (Elkin Díaz) che vive in campagna lontano dalla società. La protagonista scoprirà di essere capace di vivere i ricordi delle vite di altre persone come se fossero i propri.

Fare un’analisi di Memoria (trailer) non è semplice, in particolar modo se si tratta di un film di Apichatpong Weerasethakul. Dare un senso specifico ai film del regista thailandese è un’impresa ardua. Perciò, non resta che dare delle possibili interpretazioni. Già dalle prime sequenze del film qualcosa non va: vediamo per esempio l’antifurto delle macchine di un parcheggio suonare simultaneamente e inspiegabilmente. Dalla filmografia del regista si è riscontrata sovente la volontà di andare contro le convenzioni narrative, alle quali lo spettatore contemporaneo è ormai abituato. Alla visione di questo film non ci si deve assolutamente aspettare ritmi concitati, né tantomeno semplici pause prolungate. Memoria trova nella stasi estrema e nella scarna struttura narrativa il suo terreno di crescita.

Fuori da ogni possibile identificazione schematica, Memoria rompe ogni preconcetto che lo spettatore si porta in sala. Weerasethakul usando pochissime sequenze per comporre il film e rigorosi piani sequenza (alcuni arrivano a durare una decina di minuti), pone un palo alla consona visione del pubblico. Memoria ci ricorda che il cinema è anzitutto immagini, e da esse scaturiscono narrazioni. Narrazioni che non sono costrette ad appagare senza indugio, ma possono rimanere in attesa per giungere alla meditazione più assoluta. E così fa Memoria. Il tutto potrebbe apparire alienante, probabilmente perché siamo abituati a fagocitare narrazioni che possano soddisfare la nostra continua sete di emozioni.

Il regista vuole far intraprendere alla protagonista e allo spettatore un’esperienza che trascende le normali consuetudini di visione, attraverso le tecniche sopracitate. Si cerca di rimanere ancorati ad uno stato di coscienza terreno e alla realtà che vediamo attraverso gli occhi della protagonista, ma c’è qualcosa che ci svincola dal nostro mondo. Forse è proprio per questo motivo che suoni di ogni tipo costellano quest’opera, da quelli generati dalla natura, alla musica prodotta digitalmente. Il suono ha un ruolo centrale nel film, presente anche nei titoli di coda con lo scroscio della pioggia. Sentiamo in particolare suoni che rimandano alla nostra esperienza terrena, ma anche quelli meno definibili e quasi surreali, o addirittura immaginati. È forse quest’altro tipo di memoria che può avvicinarci e allo stesso tempo allontanarci dalla nostra realtà?

Difatti il cinema di Weerasethakul è rimasto enigmatico, in bilico tra sogno e realtà, a tratti surreale e in stretto contatto col tema della natura. Non ci si cura di approfondire la trama, scarnificandola in pochi semplici incontri che fa la protagonista, eludendo le scene madri. Continuiamo ad udire assieme alla protagonista il tonfo iniziale, il rumore che le ha causato le notti insonni. Il regista ci suggerisce che dobbiamo aspettarci ben altro dalla nostra esperienza terrena? Oppure dobbiamo abbandonarci completamente in questa esperienza incerta ed in bilico? Le risposte a queste domande sono strettamente personali. Il regista nelle sue poche inquadrature offre una riflessione non solo sulla linea narrativa del film, ma proprio sul concetto di fruizione: il film sarà proiettato ogni settimana in posti diversi per un periodo che potrebbe durare anni. Inoltre non sarà possibile reperire alcuna copia fisica.

In definitiva un’esperienza cinematografica del tutto paradossale, ma che porta una ventata di aria fresca nel cinema contemporaneo. Come nel caso dei suoi film precedenti, l’esperienza di visione non è adatta a tutti. Tilda Swinton si cala nei panni di un personaggio complesso. Ciononostante l’attrice riconferma nuovamente la sua enorme bravura (se spostiamo lo sguardo anche alla sua performance in The Human Voice di Almodovar). Si suggerisce un ulteriore approfondimento confrontando il film Still Life di Jia Zhangke e Memoria.

Il film è nei cinema dal 16 giugno.

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