Selva tragica, la recensione del film su Netflix

Selva tragica recensione film DassCinemag

Un mito maya racconta la storia di Xtabay, una donna che si serve della sua bellezza siderale per adescare uomini nei meandri della giungla al fine di ucciderli. È da qui che parte Yulene Olaizola nel realizzare un racconto che non si fa solo mito, ma apre scenari di un frammento di storia della sua terra natia, il Messico. La regista, sceneggiatrice in coppia con Ruben Imaz, dirige Selva tragica (trailer) mettendo in scena uno dei più popolari racconti del folklore della sua terra. Il film è stato presentato in anteprima al Festival del cinema di Venezia 2020.

Accompagnato dal voice over che intervalla precisi momenti della storia a mo’ di tramandamento del suddetto mito, lo spettatore è catapultato nel 1920 al confine tra Messico e Honduras britannico (l’attuale Belize). La protagonista del film, Agnes (Indira Andrewin), dopo aver rifiutato il matrimonio combinato, scappa dall’inglese che ora la vuole morta. Durante la sua fuga si imbatte in un gruppo di uomini sfruttati ed incaricati di ricavare da alcuni specifici alberi la resina utile a realizzare la gomma. La relazione che si crea tra la ragazza e gli uomini darà il via alla nascita di Xtabay.

Olaizola, già vincitrice di diversi premi grazie al suo lungometraggio d’esordio Intimidades de Shakespeare y Víctor Hugo, ibrida realtà e leggenda e ne fa unico motore della storia, realizzando un film teso e interessante. Lo spazio, su cui fa da sfondo lo sfruttamento e la ferrea colonizzazione che lacera quegli anni, si fa a tratti claustrofobico. Si è circondati da una selva fitta e opprimente, un luogo anonimo che lascia il tempo sospeso ed eterno.

Selva tragica recensione film DassCinemag

I personaggi sono accerchiati da un ambiente che non gli appartiene, una natura pericolosa e greve che, se l’uomo non si comporta rettamente, è legittimata a decimare. La giungla può dare tanto, ma può anche togliere tanto senza alcuna possibilità di redenzione. La flora e la fauna, specialmente le scimmie urlatrici che danno voce alla silente selva, vengono presentati adeguatamente da Olaizola e la tensione è palpabile, ma non memorabile.

La profondità dei personaggi viene sacrificata in nome di una mitizzazione rigorosa e strutturata, e forse ciò è un peccato. Gli uomini, anime domite nelle mani di una femme fatale, inebriati e assoggettati dalla figura di Agnes, saranno vittime delle loro pulsioni sessuali irrefrenabili, aiutando unicamente a comporre il puzzle della leggenda in questione.

Inoltre, il profilo della donna è troppo didascalico, con le medesime caratteristiche che presenta la figura di Xtabay nell’immaginario odierno: con addosso un abito bianco e celibe. Riguardo alla rassomiglianza evidente tra mito e vicende narrate, una particolare sequenza parla esplicitamente. Il film ripropone una precisa parte del mito in cui due sorelle, Xkeban e Utz-colel (la futura Xtabay), dopo la loro morte, si trasformano in due fiori, uno profumato e un altro maleodorante.

D’altro canto, Selva tragica è un lavoro da non trascurare e che regala allo spettatore uno spettacolo lugubre con una lodevole messa in scena, pur rischiando di tirare troppo la corda. In ogni caso, Yulene Olaizola farà sicuramente parlare di sé in futuro. Il film è disponibile in streaming su Netflix.

Ti potrebbero piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ho letto la privacy policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali ai sensi del Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e del D.Lgs. n. 196 del 2003 cosi come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018.