Jodorowsky’s Dune, recensione: il fascino dell’incompiuto

Jodorowsky's Dune la recensione

L’emozionante, epica, picaresca e coinvolgente odissea del regista rivoluzionario Alejandro Jodorowsky raccontata con amore e precisione da Frank Pavich in Jodorowsky’s Dune (trailer) ridà gloria ad un progetto mai divenuto film, che ha però stabilito le basi del cinema di fantascienza contemporaneo ed ha insegnato a tutte le generazioni seguenti che direzione avrebbe dovuto prendere il cinema fantastico.

Quando il regista sconvolgente di El Topo e La montagna sacra prende in mano il progetto di un adattamento di Dune il cinema di fantascienza era appena stato rivoluzionato da Stanley Kubrick che con il suo 2001 Odissea nello spazio aveva creato letteralmente un modo nuovo di raccontare lo spazio e la fantascienza al cinema. Jodorowsky pensò di distinguersi dalla linea di Kubrick ricercando una formula opposta totalmente immersa nella sperimentazione, collocando il progetto il più lontano possibile dalla Nasa e dal film di Kubrick ed allo stesso tempo incompatibile con l’immaginario cinematografico fino ad ora creato.

Esattamente come Stanislavskji per la regia teatrale dell’attore o Adolphe Appia per la scenografia teatrale, anche Jodorowsky rappresenta per il cinema un evoluzione sostanziale, un principio ispiratore che ha guidato e influenzato a prescindere dalle stesse opere ultimate. Così come per i grandi maestri del teatro del Novecento, quello che conta nel contesto della fantascienza cinematografica di Jodorowsky non è ciò che ha realizzato, ma il mastodontico progetto che non finì mai di Dune e che portò alla nascita di quasi tutto ciò che conta oggi del cinema di fantascienza.

Il grande talento di Jodorowsky fu infatti quello di coinvolgere una squadra unica di artisti che realizzarono per lui mondi, oggetti, personaggi ed universi incredibili che non poté mai usare ma che vennero recuperati e rielaborati per alcuni fra i fondamentali film di fantascienza della storia occidentale.

L’adattamento del capolavoro di Frank Herbert sarebbe stato imponente e psichedelico e per ogni pianeta coinvolto nella storia ci sarebbe stato il contributo musicale di un artista differente. Il mondo fisico sarebbe stato raccontato da un distinto artista contemporaneo e così i costumi di scena o l’illuminazione, ogni pianeta avrebbe avuto un suo cast tecnico.

Il progetto avrebbe anche avuto la colonna sonora dei Pink Floyd di fianco alle idee di Salvador Dalì (che avrebbe anche interpretato il ruolo dell’Imperatore) mentre per il perverso e pericoloso Feyd-Rautha ci sarebbe stato Mick Jagger (poi toccò a Sting per Lynch) e nella parte del ripugnante barone Vladimir Harkonnen un gigantesco Orson Welles obeso e galleggiante nell’aria, sadico e spietato per ogni fotogramma girato. Il sogno non si è mai realizzato ed il progetto è passato nelle mani, molti anni dopo di David Lynch che però non si è mai dichiarato soddisfatto dell’esperienza.

Pavich ricostruisce l’anno elettrizzante che Jodorowsky impiegò nell’inseguire il suo Dune, gli enormi sforzi, gli imbrogli, i divi incontrati e gli artisti incredibili che fecero cose uniche per lui. Ne emerge un film emozionante ricco di immagini artistiche inedite e di animazioni che ricostruiscono lo storyboard originale del film. La supervisione artistica era del grande illustratore e pittore fumettista francese Jean Giraud in arte Moebius che avrebbe recuperato questo mondo nei fumetti di Arzach.

Ma il lavoro artistico del progetto aveva coinvolto anche il grande surrealista svizzero H. R. Giger che creò un mondo dark e perturbante dai cui disegni sarebbe poi germogliata la sua più famosa creatura cinematografica: lo xenomorfo di Alien. Il dna di questo passaggio è ben documentato e all’impegno di Giger è connesso quello di Dan O’Bannon (creatore degli effetti speciali) tanto per Dune che per il film di Ridley Scott. Lo stesso Scott renderà ancora omaggio a quei disegni rielaborando parte delle idee grafiche di Dune per il suo più recente Prometeus. L’arte messa in gioco dall’illustratore Chriss Foss sarebbe tornata per sua stessa mano nel film Guerre stellari di George Lucas ed i mezzi di locomozione avrebbero in seguito ispirato Otomo Katsushiro per il suo Akira.

Jodorowsky non avrebbe però perduto tutto, rimettendo in gioco molte idee e molti temi nella sua saga fantascientifica a fumetti L’Incal proprio con Moebius ed il mondo cupo dei baroni Harkonnen sarebbe tornato nella saga a fumetti dei metabaroni, che fa da spin-off al ciclo dell’Incal. Pavich rende onore al film mai girato, al maestro che ha ispirato gli altri senza venir mai riconosciuto, al genio perduto dell’opera mai fatta che a pochi mesi dall’arrivo del nuovo adattamento di Herbert ritrova spazio e dimensione nella sale e si spera con libri illustrati nelle librerie italiane.

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