#RomaFF18: Cento domeniche, la recensione del film di Antonio Albanese

La recensione del film Cento Domeniche di Antonio Albanese, presentato alla 18esima Festa del Cinema di Roma

Nessuna grande aspettativa per il nuovo lungometraggio scritto, diretto e interpretato da Antonio Albanese. Eppure Cento domeniche (trailer) porta con sé il germe di una buona messinscena, esplorando la delicata tematica del fallimento finanziario di operai e dipendenti. La causa, soprattutto negli ultimi vent’anni, sarebbero le banche, oggetto di fluttuazioni di mercato che portano al fallimento e alla bancarotta delle stesse, dove i risparmiatori depositano i ricavi di un’intera vita.

Chi mai vorrebbe vedere in fumo i propri risparmi? Come si deve sentire qualcuno che si affida ad un’istituzione, come può essere la banca del proprio Paese, solo per finire manipolato dalla stessa? Se lo chiede Antonio Albanese nei panni di Antonio, un uomo come tanti che vive in un paesino sul lago di Como. Antonio, uomo divorziato che vive con l’anziana madre, ha un solo sogno: quello di occuparsi delle spese di matrimonio della figlia e regalarle il giorno più bello della sua vita. Cento domeniche trasporta lentamente in questa dimensione, la vita di un pensionato che viene stravolta perché ha firmato delle carte per un prestito senza leggerle. Il patto col diavolo è segnato e ormai la banca è già in declino. Antonio senza saperlo – e altri come lui in paese che si sono affidati ciecamente alle “cure” della banca – ha investito tutti i suoi risparmi in azioni che ora non valgono praticamente più nulla.

È la vittoria del “sacro” capitalismo. Travolgendo tutto e tutti con la sua forza dirompente, salvando solo i grandi imprenditori e i ricchi di famiglia. Sono tutti colpevoli davanti alla legge, perché basta una firma per congelare i fatti, e la legge non ammette ignoranza. Esistenze che vanno in fumo in pochi attimi, ed ecco che si scava nella componente psicologica di chi non ha più niente e nulla a cui aggrapparsi. Il paese, in preda ad un’autentica isteria di massa, prova a ribellarsi, ma i singoli sono già nell’oblio. Antonio sembra un personaggio dostoevskiano che viene catapultato nel sottosuolo, finendo immediatamente per affogare. Tutto è perduto.

Con una fotografia abbastanza curata di Roberto Forza ed una regia realista, senza fronzoli e a bassissimo budget, Albanese trasporta lo spettatore in un mondo speculare al nostro, dove l’unica differenza viene fatta dalla stessa scrittura e dall’interpretazione dei personaggi. Sì perché la sceneggiatura, pur possedendo dei punti di forza, tende a cronicizzare il messaggio, saturando ciò che la messinscena sta già riuscendo a trasmettere visivamente. In aggiunta, risultano leggermente ditirambiche le interpretazioni dei personaggi secondari, che inevitabilmente vanno a scucire quella sottile maglia di piacevole autorialità che Albanese riesce a trasmettere con difficoltà.

Certamente non si parla di un film capolavoro. La tematica proposta è una realtà che difficilmente affligge le nuove generazioni, che tendenzialmente hanno una consapevolezza maggiore grazie all’uso di internet e ad una scolarizzazione più alta. Per quanto la dinamica possa essere forte e la produzione possa essere di buon livello, è indubbia la realtà che Cento domeniche non sia un lungometraggio capace di spingere le persone ad una seconda visione. Forse è una scelta del regista, quella di rendere su schermo una partecipazione che inizia e finisce nelle due ore di film, richiamando vagamente il linguaggio teatrale. La storia è autoconclusiva, dai termini prevedibili, ma che colpisce proprio per la sua vividezza. Si può affermare che Albanese sia riuscito a trasporre un dramma ben confezionato, rispetto alla media italiana, e tutto sommato apprezzabile. La certezza che questo film funzioni la daranno solo i dati del box office.

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