#RomaFF16: Crazy for football – Matti per il calcio, la recensione

Rientra nella sezione Riflessi di questa edizione della Festa del Cinema di Roma il film diretto da Volfango de Biasi Crazy For Football-Matti per il calcio tratto dall’omonimo documentario vincitore del David di Donatello 2017 Crazy For Football. Entrambe le opere raccontano i fatti realmente accaduti nel 2006 quando l’Italia ha vinto il secondo mondiale di calcio per pazienti psichiatrici. Dopo aver raccontato questo memorabile evento con la tecnica del documentario, De Biasi realizza questa volta un film che sarà trasmesso su Rai Uno lunedì 1 novembre.

Nel lungometraggio, colui che, contro tutto e soprattutto contro tutti, vuole organizzare a tutti costi questo mondiale è lo psichiatra Saverio Lulli interpretato da Sergio Castellitto, che vive la sua professione di medico come una vera e propria missione cercando di offrire ai pazienti psichiatrici metodi di cura che sfruttino anche occasioni di socializzazione come il gioco del calcio. Una missione che però è costretto a portare avanti da solo scontrandosi con la sua ex moglie e con i suoi colleghi, tra cui il suo superiore, il dottor De Metris (Massimo Ghini), un medico combattuto tra il protocollo e le regole e i metodi alternativi del suo amico. Ad aiutare Saverio ci sono la figlia (Angela Fontana) che si innamorerà anche di uno dei ragazzi, Tommaso (Simone Baldasseroni in arte “Biondo”) l’infermiera Paola (Antonia Truppo) e l’ex allenatore Vittorio Zaccardi interpretato da Max Tortora, vecchio paziente di Saverio a cui lo psichiatra si rivolge per portare a termine quella che sembra una vera e propria impresa. Non mancano nella fase iniziale le difficoltà, soprattutto quelle che Vittorio riscontra nel rapportarsi coi ragazzi che però riesce a superare con l’aiuto di Saverio, costruendo scene divertenti che nascondono sempre un retrogusto amaro.

Continuando con gli allenamenti si comprende quanto lo sport possa davvero essere una terapia che porta, in questo caso, le persone lontane da un manicomio, dall’immobilità del letto d’ospedale e della sedazione. Con questo film De Biasi fa riflettere sull’uso quotidiano delle parole: essere normali o essere matti, due etichette che ci diamo continuamente senza rendercene conto, senza riflettere su quello che diciamo. Lulli ad un certo punto del film afferma: <<se sei matto non sei normale e se non sei normale non esisti>>. Ma chi ha stabilito i criteri della normalità o i criteri della follia? Chi l’ha detto che per essere normali bisogna seguire le regole? Questi e magari anche altri sono gli interrogativi che a volte ci poniamo ma a cui non diamo troppo peso per non complicarci una vita che non ci lascia il tempo di farci delle domande. Oltre a strapparci delle risate, questo film ci mette di fronte a questi dilemmi mentre guardiamo dei ragazzi intenzionati a superare le proprie paure e i propri limiti, che non vogliono arrendersi al giudizio e alla condanna degli altri, le due armi più crudeli con cui chiunque può creare delle ferite all’anima molto profonde, spesso incurabili.

Non mancano momenti di crisi non solo all’interno della squadra ma anche per Saverio che per un momento pensa di aver fatto tutto questo per soddisfare il proprio ego, un pensiero che però svanisce quando vede i suoi ragazzi essere diventati dei “gladiatori”. Uniti per raggiungere un solo obiettivo che non è la vittoria ma quello di dimostrare prima a se stessi e poi agli altri che non esistono matti e non esistono persone normali, perché se come dice Saverio i suoi ragazzi <<mettono in discussione le regole della vita e non quelle del calcio>>, allora o siamo tutti “matti” o siamo tutti semplicemente esseri umani.

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