#RomaFF16: Belfast, la recensione

La recensione di Belfast, il nuovo film di Kenneth Branagh

A volte il cinema ci aiuta a trarre senso dalle cose che accadono nella vita, come se l’inespresso e l’incomprensibile acquistassero nuova forma sullo schermo: così qualcosa di traumatico può guadagnare una nuova prospettiva ed essere, talvolta, superato. Chissà se l’attesissimo Belfast (trailer) di Kenneth Branagh, presentato alla sedicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, ha in sé l’intenzione di dare significato a qualcosa che per un bambino è inspiegabile.

Nel 1969 la città di Belfast fu dilaniata da scontri interni fra protestanti e cattolici: Buddy (Jude Hill) vive in una tranquilla strada della cittadina irlandese, insieme al padre (Jamie Dornan), alla madre (Caitríona Balfe) e al fratello Will (Lewis McAskie), un posto dove tutti si conoscono e che nonostante le differenze vivono in armonia, almeno finchè le differenti visioni sulla religione non sono diventate insormontabili.

Il film naviga nei ricordi di Buddy dal giorno dell’attacco in poi, esplorando i diversi aspetti della sua vita: la scuola, il primo amore, la passione per il cinema e per il teatro, il rapporto dei suoi genitori e le visite dagli amati nonni (interpretati da Judy Dench e Ciarán Hinds). Quello di Branagh è un ricordo romantico dell’infanzia, in bianco e nero come i film della vecchia Hollywood, quelli che vedeva in televisione nascosto sotto il divano.

Eppure questi ricordi, costantemente incorniciati in simmetriche inquadrature che mostrano un mondo facilmente riconoscibile come posticcio, peccano di incompletezza: conosciamo la storia attraverso gli occhi di un bambino, che in quanto tale vede la vita in modo dicotomico, il  famoso bivio del bene e del male e nonostante sia così, le emozioni faticano ad uscire dallo schermo, rimanendo piatte e poco coinvolgenti. Pur essendo lo scontro religioso la ragione di conflitto più importante, fa più da sfondo ed interagisce saltuariamente con la vita del bambino e della sua famiglia, se non comparendo in preoccupazioni genitoriali che vengono espresse verbalmente e mostrate raramente.      

Nell’affrontare i temi prefissati (l’accettazione della diversità, l’importanza del ruolo di madre, il valore della famiglia tutta) è impossibile non far caso ad un continuo incespicare della scrittura, trascinando situazioni diventate ben presto stantie, nel tentativo fallimentare di costruire una solida base di rapporto emotivo con lo spettatore.

Belfast è un film che parte da un posto di profondo amore per la vita vissuta, ma è altalenante, sconnesso come la memoria dell’infanzia può essere, a tratti sinceramente godibile e, purtroppo, facilmente dimenticabile.

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