#ROMAFF15: Ricochet, la recensione

ricochet

Ricochet (trailer) si apre con una citazione di André Gide: «Tutte le cose sono state già dette; poiché nessuno ascolta, occorre sempre ricominciare». Subito dopo vediamo un uomo risvegliarsi nel bel mezzo del deserto, in un campo lungo che mostra l’ampiezza dell’ambiente rispetto alla figura umana e un’inquadratura grandangolare che evidenzia le proporzioni. Quell’uomo è Martijn (Martijn Kuiper), si saprà più tardi che una malattia incurabile gli provoca svenimenti improvvisi. Tuttavia questa, e altre informazioni, non sono che suggerite da una narrazione sottintesa che anche a fine visione lascia diverse domande in sospeso. Il racconto prosegue e veniamo a conoscenza che Martijn è uomo che vive da solo in una casa di campagna, è separato e ha una figlia, mentre più volte la narrazione gioca sulle informazioni nascoste: lo spettatore raccatta i pochi indizi e cerca di costruire un quadro completo, però mancano alcuni pezzi. Un caro amico di Martijn, però, a un certo punto gli offre una birra per smorzare un sentimento in particolare, che rimane impresso nello spettatore: il «rancore».

Sicuramente la narrazione implicita di Ricochet dona al film di Rodrigo Fiallega un’atmosfera quasi sospesa, in cui nulla viene forzato e detto esplicitamente allo spettatore. Piuttosto, il film punta a mostrare, e mostra attraverso scene flemmatiche che dall’essere semplicemente lente, in certe occasioni sfiorano la noia, soprattutto in quei pianosequenza in cui le azioni vengono mostrate nella loro intera durata, anziché subire un’ottimizzazione narrativa. Si vede ogni passaggio di Martijn mentre si lava e cucina, per sottolineare la tranquillità di un uomo rimasto ormai solo, aspetto che però poteva sicuramente trovare un’altra forma comunicativa. L’impressione quindi è che Ricochet sia un film eccessivamente impostato in una finzione che appesantisce la visione.

Fiallega, sceneggiatore e regista, fa in modo che i due elementi si integrino l’uno con l’altro e insieme formino una visione che non può ritenersi completa senza prendere in considerazione una delle due componenti. Così, bisogna unire i pochi dialoghi a ciò che invece viene mostrato o suggerito dalle immagini. I dialoghi enigmatici si uniscono a un racconto che evita la musica extradiegetica e invece utilizza i suoni ambientali come un sottofondo costante; per questo motivo, anche per il ritmo moderato, Ricochet è un film che prosegue con una tranquillità arcana, che incuriosisce e coinvolge soltanto in parte lo spettatore.

Il protagonista si sposta spesso da casa e durante le sue camminate vive situazioni criptiche, che lo spettatore prende in considerazione nel tentativo di decifrare il quadro del film. Al bar incontra un uomo lasciato dalla propria moglie, mentre nell’episodio del combattimento dei galli ritrova lo scontro e la morte che lo tormenta; quando va a riparare la doccia della vicina, invece, ritrova la sua malattia, quindi ogni fatto si ricollega agli elementi che hanno portato la sua vita a diventare un fallimento. Il culmine forse è nell’episodio in cui l’amico gli regala il pugnale, nel quale riceve anche la pistola che diventa l’arma della vendetta. Tuttavia, la narrazione rarefatta appare incompleta in modo fastidioso e l’impressione finale è che Ricochet sia un film a tratti inconcludente, e che il tragitto narrativo di Fiallega sia troppo sfuggente per essere compreso e condiviso.

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