Queen Charlotte, la recensione: il potere è donna 

Queen Charlotte, serie tv, recensione, Netflix

È dai tempi di Grey’s Anatomy che Shonda Rhimes si è imposta come regina indiscussa di serialità di culto e non servono indagini escatologiche per dedurne il motivo. Una dieta equilibrata di qualità e trash velato, prodotti high concept ma pensati per un pubblico potenzialmente generalista, venature lussuriose e piccanti fanno di ShondaLand il fatato mondo dello showrunning di successo. E come per ogni ecosistema narrativo che si rispetti, anche per Bridgerton non poteva mancare la produzione di uno spin-off dedicato, Queen Charlotte (trailer), miniserie Netflix in sei episodi che approfondisce il plot della narrazione madre. 

La statutaria immagine della regina d’Inghilterra, oggetto del gossip di Lady Whisteldown, viene scandagliata nel dettaglio, dall’arrivo in Inghilterra all’età di soli 17 anni, quando suo fratello la vendette alla corona inglese come moglie del monarca, fino al parto del primo nascituro. Ma Buckingham House cela un oscuro segreto, di cui la giovane regina dovrà prendere atto: il re è affetto da una grave malattia mentale che rischia di indebolire le fondamenta dell’impero britannico. In un andirivieni tra passato e presente, emergono in primo piano le untold stories di altri due personaggi dell’ecosistema Bridgerton: Violet Bridgerton (Ruth Gemmell) e Lady Danbury (Adjoa Andoh), nobildonne dell’alta società inglese di metà 800’ sulle quali vengono puntati i riflettori della narrazione. 

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Queen Charlotte funge da manuale enciclopedico, in un processo esplorativo votato alla messa in luce di aspetti più sottesi ma emotivamente densi della diegesi complessiva. Il sottobosco attanziale che aveva animato le vicende del duca di Hastings e moglie permette alla serie di navigare in mari inesplorati, socialmente impattanti, e riassumibili in tre categorie tematiche: la discriminazione razziale, l’uguaglianza di genere e la malattia mentale. Prima di passarli in rassegna per evidenziare, ancora una volta, la preziosità dell’ennesimo successo partorito da ShondaLandsi osservi l’efficacia derivante dalla rilocazione in un contesto d’epoca – il diciannovesimo secolo inglese – di tematiche e vicende d’attualità. Una strategia di sicuro collaudo, stando alla persistente tendenza retromaniaca delle più recenti produzioni seriali. A suggello di un’operazione come questa, si situano le colonne sonore remixate in stile orchestrale che istituiscono un cortocircuito temporale perfettamente funzionante. 

A partire dalle mirabolanti disavventure della regina Carlotta (India Rio Amarteifio), lo spin-off non occupa una posizione scollata nella galassia Bridgerton: ne esamina alcuni aspetti da un’angolazione alternativa, spesso situandosi in modo temporalmente coincidente con le ultime vicende narrate nella stagione 2022. Se il tema della discriminazione razziale aveva marginalmente adornato la diegesi madre, Queen Charlotte lo assume a fondamento delle azioni dei personaggi, rendendo il ruolo della regina determinante per l’assegnazione ereditaria di titoli nobiliari ad alcuni sudditi di pelle nera.  

Ciascun episodio da voce ai non detti dei membri adulti e più vulnerabili della piramide sociale, come le donne e i nobili neri. Una costellazione di sostenibilità sociale trattata efficacemente attraverso la rilocazione spaziale e temporale. La leadership femminile che opera all’interno della writer’s room trova pieno compimento nella caratterizzazione dei personaggi: la giovane Lady Danbury (Arsema Thomas) rifiuta la proposta di un principe tedesco pur di preservare un’indipendenza agognata, dopo anni di assoggettamento al volere del burbero marito; Violet manifesta liberamente i propri desideri sessuali; le due regine, Carlotta e Augusta (Michelle Fairley, meglio nota come Catelyn Stark in Game of Thrones), si contendono lo scettro del potere, consce della difficoltà di muoversi in un mondo dominato dagli uomini.

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La sottolineatura della vulnerabilità di un regnante maschio, re Giorgio (Corey Mylchreest) e la delega del potere nelle mani di una donna, fanno capo ad un percorso di sensibilizzazione spinta e ben riuscita, fermo restando il solito ricettario da manuale: il belloccio inarrestabile, scene lussureggianti diluite più o meno ovunque e cornice da romcom in costume. Ma il legame coniugale tra i due regnanti d’Inghilterra – grazie ai continui flashforward previsti dalla diegesi – si insinua nelle pieghe più dolenti e complesse del sentimento amoroso: l’accettazione della diversità del partner e il perseverare, in nome dell’amore, per tutta la vita. La costruzione del sentimento amoroso scende nelle profondità più recondite dell’animo umano, lasciandosi alle spalle le stupide corbellerie del Visconte Bridgerton e consorte. Si delineano molteplici percorsi di “poliamore” che permeano la struttura narrativa, dall’amicizia fra Violet e Agatha alla delicata sottotrama riguardante i valletti reali. 

Queen Charlotte opera un salto di qualità notevole, sganciandosi dalla solita caratterizzazione alla Gossip Girl che è pressocché assente durante lo svolgimento della trama. Sono i sentimenti più autentici ad animare i risvolti narrativi e a restituire un certo spessore alla storia. Lo spettatore non sarà semplicemente inebriato dalla bellezza folgorante degli attori o dalle loro lussureggianti vite sessuali, ma sarà indotto a riflettere su un qualcosa che non galleggia in superficie.

La serie è su Netflix dal 4 Maggio.

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