Il regno del pianeta delle scimmie, la recensione: un’utopica alleanza

Il regno del pianeta delle scimmie (trailer) è l’ennesimo tassello della saga de Il pianeta delle scimmie, un media franchise composto da dieci film, due serie televisive e vari libri, fumetti e videogiochi basato sull’omonimo romanzo di Pierre Boulle pubblicato nel 1963. Il film, diretto da Wes Ball riapre un ciclo iniziato nel 2001 con L’alba del pianeta delle scimmie con Cesare (Andy Serkis) come protagonista e che sembrava essersi chiuso nel 2017 con la sua morte in The War – Il pianeta delle scimmie. Ball, riutilizzando la scena del funerale di Cesare come check-point, trasporta lo spettatore avanti di trecento anni; in un mondo in cui le scimmie sono la specie dominante e gli umani sono relegati al ruolo di bestie senza intelletto.

Il nuovo protagonista, Noa (Owen Teague), è l’erede del clan delle aquile: delle scimmie che vivono allevando questi uccelli e nutrendosi delle loro prede. Una comunità che richiama il mondo primitivo, senza memoria, che agisce in base agli insegnamenti degli scimpanzé più anziani del branco. Già nei primi minuti questa realtà subisce l’interferenza degli “eco”, ovvero umani. Considerati da questa nuova società non tanto come un’effettiva minaccia ma più come una scocciatura; alla stregua di un cinghiale che rovista nei rifiuti e che, se disturbato, potrebbe diventare aggressivo. L’idillio di questa vita elementare però viene ben presto spezzato dai tirapiedi di Proximus (Kevin Durand), che distruggono l’accampamento, uccidono il capotribù e catturano il clan di Noa che, creduto morto, viene lasciato solo tra le macerie.

Da questo punto in poi la narrazione è un classico re-telling del viaggio dell’eroe di Vogler in cui Noa, nel suo cammino, verrà istruito dall’orangotango e mentore Raka (Peter Macon) e instaurerà un rapporto con Mae (Freya Allan), l’umana che rubava cibo dal suo accampamento. Mae, però, è una dei pochi umani intelligenti rimasti e ha una missione ben più specifica di quella di Noa. Difatti se lo scimpanzé vuole, ovviamente, rendere di nuovo libero il suo popolo e vendicare la morte del padre, Mae ha il compito di trovare la chiave per ripristinare le comunicazioni tra le basi umane rimaste attive nel mondo.

Nella seconda metà del film incontriamo l’antagonista, Proximus: un tiranno capace di piegare al suo volere tutti i clan conquistati grazie alla conoscenza della storia. Difatti lo scimpanzé, con l’aiuto del suo schiavo umano Trevathan (William H. Macy), ha appreso e, successivamente, distorto i valori della società costruita da Cesare. Al grido unitario dello slogan «Scimmie insieme forti», Poximus incita i suoi sudditi a sacrificarsi per un obiettivo preciso: aprire un deposito appartenuto agli umani per impadronirsi, così, di armi e conoscenza.

Ad ostacolare il suo piano ci sono, ovviamente, Noa e Mae che formeranno un’alleanza che verrà ben presto minata dai loro obiettivi contrastanti. Una volta dentro il deposito, Mae compie la sua missione, con la speranza che un giorno gli umani possano tornare a essere padroni delle proprie capacità. D’altra parte Noa solo sconfiggendo fisicamente Proximus completa il suo ciclo di trasformazione sostituendosi al padre come capo del suo clan.

La narrazione presenta, dunque, una serie di soluzioni semplicistiche agli ostacoli che si frappongono tra i due protagonisti delle due differenti fazioni (scimmie e umani). Un approccio che, come può accadere nei film di genere Sci-fi, sfiora l’incredulità ma che contribuisce a mantenere un ritmo fluido, necessario per un film che dura quasi due ore e mezzo. Il regno del pianeta delle scimmie risulta dunque un film facilmente fruibile in quanto lo spettatore non necessita di aver visto i precedenti capitoli per immergersi in questa nuova avventura e, soprattutto, spettacolare dal punto di vista visivo grazie all’ utilizzo sempre più sofisticato della CGI che risulta estremamente convincente.

Da oggi in sala.

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