Lisey’s Story, recensione: dal romanzo di Stephen King alla serialità televisiva

Lisey's Story recensione serie TV DassCinemag

Lisey’s Story (trailer) è una miniserie di stampo horror-soprannaturale che si basa sull’acclamato libro del 2006 di Stephen King che porta lo stesso nome. La serie vanta nomi importanti al suo interno, infatti oltre allo scrittore vediamo una regia curata da Pablo Larraìn (conosciuto maggiormente per i film No e Jackie), e figura come produttore niente meno che J.J. Abrams. Ordinata per 8 episodi su Apple TV, va in onda dal 4 giugno al 16 luglio 2021 concludendosi con una sola stagione. Con premesse del genere la serie crea grandissime aspettative che però non esaudisce appieno. Ma procediamo per gradi.

La storia che viene raccontato nell’arco degli otto episodi non è particolarmente complicata, ma non è per niente banale. Il racconto si evolve su Scott, uno scrittore famosissimo, con un passato oscuro, e sua moglie Lisey. Con rimandi al passato e viaggi interiori, vediamo presentata la loro storia d’amore, con la loro interiorità ed il loro passato che si mischiano con i mondi letterari ed immaginari creati da Scott nei suoi libri. Una storia semplice, tanto semplice da essere incredibilmente complicata e piena di misteri.

Nel suo adattamento sullo schermo infatti sentiamo come mancare qualcosa, un particolare, un filo conduttore, che porta gli episodi a sembrare quasi scollegati tra di loro e facenti parte di altre storie, come capitoli di libri totalmente diversi. Il ritmo non risulta incalzante e coinvolgente, non creando quindi quell’aspettativa e fremito di vedere l’episodio successivo per sapere come procede la narrazione. Il tempo scorre, ma non succede mai ciò che ci si aspetterebbe da una serie horror tratta da un libro di Stephen King. La serie è poetica, letteraria, drammatica, ma di certo non horror.

L’unica cosa che spinge lo spettatore a continuare la visione di Lisey’s Story e non farla cadere nell’oblio delle serie televisive iniziate e mai finite, è l’estetica. Incredibilmente curata nel minimo dettaglio, la fotografia risulta magnetica, coinvolgente, estasiante. Sembra di trovarsi costantemente all’interno di un quadro, come in un film di Terrence Malick. Con una cromatura curata ed equilibrata, la fotografia si giostra su toni scuri e freddi ed un uso delle luci magistrale che porta in evidenza sia le scenografie che le interpretazioni.

Stilisticamente parlando l’opera è quindi impeccabile, la ricostruzione minuziosa degli ambienti ci riporta al romanzo in una maniera incredibile ed anche le scelte d’abito dei protagonisti sono fedeli, lasciando fedeli anche i minimi dettagli presentati da King. Se la serie fosse un mero esercizio estetico sarebbe vincente, ma purtroppo non lo è.

Oltre al suo estetismo, Lisey’s Story si salva anche per le sue interpretazioni. Il cast è composto infatti da nomi importanti nello scenario cinematografico che in qualche modo riescono a portare avanti il progetto rendendolo comunque buono. Tra i protagonisti troviamo Clive Owen, candidato all’Oscar per Closer, e Julianne Moore, vincitrice dell’Oscar per Still Alice. I due personaggi principali sono costruiti magistralmente, risultano umani ma allo stesso tempo alieni, è facile empatizzare  con loro ma fino ad un certo punto; sono misteriosi ma anche un libro aperto, sono la perfetta incarnazione di un ossimoro che risulta essere la figura più vicina a qualsiasi persona umana.

Moore regala un’interpretazione magistrale, non delude mai le aspettative e mostra, nell’arco della storia, varie sfaccettature emotive che non risultano mai banali o forzate, coinvolgendo lo spettatore e spingendolo ad immedesimarsi con il suo personaggio. Clive Owen non è da meno, risulta magnetico e attraente, è il protagonista indiscusso di una storia che non è totalmente sua, è il fulcro dell’azione e la motivazione di ogni personaggio che si muove nella narrazione per lui, per Scott. La cura riportata nei protagonisti, però, non risulta essere la stessa dei personaggi secondari che sembrano quasi piatti o capaci di incarnare un solo aspetto della personalità. Risulta evidente nelle sorelle di Lisey, Amanda e Darla, rispettivamente Joan Allen e Jennifer Jason Leigh. Amanda risulta solo bisognosa di affetto e cure, mentre Darla, al contrario, è emotivamente distaccata. Le interpretazioni sono buone, ma comunque non riescono a salvare due personaggi che nella loro scrittura mancano di qualcosa, non risultando memorabili né tantomeno coinvolgenti. Perfino l’antagonista, interpretato da Dane DeHaan, non spicca nella narrazione diventando come una linea piatta che ripropone sempre le stesse espressioni ed azioni.

Lisey’s Story si muove, quindi, su diversi scenari ma non convince appieno lo spettatore, che alla fine della visione resta come indeciso se ciò che ha visto gli sia piaciuto oppure no. La storia è metaforica, interiore ed è giostrata sul mettere le persone in difficoltà, non sapendo mai se ciò a cui stanno assistendo sia la realtà oppure frutto dell’immaginazione di Scott. Sono più storie ramificate in una sola, più visioni che convergono insieme anche se non del tutto. Il filo conduttore è solo uno però: si tratta di attraversare il buio, lottare con esso trovando la propria strada e poi aspettare l’unica persona che ti capirà e ti salverà. Come dice Scott a Lisey nell’ultimo episodio: è la storia di Lisey ma è la storia di tutti.

Lisey’s Story è un gran prodotto, a tratti spettacolare ed a tratti deludente, è un’occasione mancata ma non totalmente. Potrebbe essere tranquillamente dimenticabile ma nello stesso tempo, in qualche modo, rimane impressa. Insomma, è tutto e il contrario di tutto. Avrebbe brillato maggiormente sotto la forma filmica? Probabilmente, ma non lo sapremo mai. Il prodotto è questo ed è difficile identificarlo. Rimane il dubbio, resta la perplessità, ma tutto sommato la sua visione non è tempo perso.

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