Prayers for the Stolen, la recensione del film su MUBI

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Tatiana Huezo Sánchez adatta l’omonimo romanzo di Jennifer Clement. In Prayers for the Stolen (Noche de fuego) (trailer) la regista salvadoregna scrive e dirige un film mostrando, attraverso gli occhi di una bambina, il popolo messicano e il paesaggio circostante in ginocchio davanti ad una intaccabile criminalità. Nessuna forma di ribellione contro il cartello è tollerata. Molti temi, purtroppo attualissimi, che vengono trattati e messi in scena sono un pugno allo stomaco. In Messico sono numerosi i casi di scomparsa di donne tra i 10 e i 20 anni. La femminilità è violata ed è necessario abbandonarla per non cadere in mano dei trafficanti. Come se non bastasse, il film allude all’incapacità delle forze armate di reagire davanti a queste atrocità.

Il film racconta la storia di Maria (Blanca Itzel Pérez, Giselle Barrera Sánchez), Paula (Camila Gaale, Alejandra Camacho) e Ana (Ana Cristina Ordóñez González, Marya Membreño), tre bambine che vivono a Guerrero, uno Stato del Messico. In una terra impestata dal cartello, dalla prostituzione e dal traffico di droga e di esseri umani, le tre amiche portano avanti coraggiosamente la loro crescita insieme, senza abbandonare i consueti momenti felici e di spensieratezza. Il vero rischio che corrono è quello di essere scelte e portate via dai membri del cartello che le ridurranno in schiave, o peggio. Riusciranno a rimanere unite? Il lavoro nel campo di papaveri potrebbe garantire anche una possibile immunità dalle violenze e dalla prostituzione. Sarà davvero così?

Tatiana Huezo Sánchez costruisce il suo film in due archi narrativi: nella prima parte le tre bambine attraverso l’innocenza dell’infanzia mantengono vive le speranze e i sogni in un ambiente avvelenato; nella seconda parte le tre protagoniste intraprendono il passaggio all’adolescenza. La regista dimostra di saper gestire l’equilibrio tra tensione e commozione per gran parte del film. Una commozione che non è mai gratuita. Prayers for the Stolen mostra una comunità costituita quasi esclusivamente da donne, mentre gli uomini lavorano altrove per arrotondare i guadagni delle proprie famiglie in una sussistenza già precaria. Il dolore non è patito unicamente dalle tre amiche, ma si fa universale.

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Non solo viene violata la femminilità, ma gli innocenti vengono privati dell’infanzia e dell’adolescenza. Dopo il rapimento di una bambina la piccola comunità viene sconvolta e ogni giorno inizia a trasudare terrore. I narcos non sono mai visibili, fatta eccezione per le jeep nere con le quali raggiungono Guerrero. Per evitare di essere sottratte dalle loro famiglie, le bambine sono costrette a tagliarsi i capelli e qui sta la parte più toccante del film. La piccola attrice che interpreta Ana durante questa data sequenza regala la parte emotivamente più toccante del film. Il personaggio della madre di Ana (Mayra Batalla) è uno dei più riusciti, inflessibile seguendo alcune regole per proteggere sua figlia, rassegnata dalla mancanza della figura paterna e da una storia che si ripete da generazioni.

Sfortunatamenete uno dei difetti che grava sul film è l’assidua inclusione degli elementi e avvenimenti che caratterizzano la crescita di un bambino, sul passaggio dall’infanzia all’adolescenza, come ad esempio le prime mestruazioni e i primi amori. Ciò indirizza il film verso un evidente schematismo e le situazioni troppo elementari potrebbero non mantenere solida la struttura narrativa. Tuttavia, Prayers for the Stolen coniuga l’uso limitato di musiche con un’ammirevole cinematografia, affidata a Dariela Ludlow, per abbracciare uno stile icastico. Una delle poche melodie che si odono è quella che modellano in una sorta di polifonia le tre protagoniste durante i loro momenti di gioco. Il resto è affidato al suono del paesaggio messicano in contrasto con le eliche dei velivoli e gli pneumatici dei veicoli dei narcos e delle forze armate.

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