Qualcuno deve morire, la recensione della serie su Netflix

Qualcuno deve morire

Con Qualcuno deve morire (trailer) ci troviamo di fronte all’ennesima produzione spagnola targata Netflix e le aspettative sono sempre un po’ più alte. Dopo i recenti successi di serie come La casa di carta, Via a Vis o Élite, le produzioni iberiche si stanno facendo strada all’interno del panorama internazionale e soprattutto europeo. In questa miniserie TV, scritta e diretta da Manolo Caro, i temi trattati sono quelli ormai cari al pubblico domestico, prima fra tutti l’omosessualità, affrontata qui nel contesto conservativo e dittatoriale del regime franchista. È importante però, non farsi ingannare dal titolo, il quale non rispecchia a pieno il contenuto dell’opera. Siamo più che lontani dai gialli alla Agatha Christie, in quello che sembra un ibrido tra melodramma e thriller. C’è da chiedersi quindi, se Qualcuno deve morire risulti all’altezza delle produzioni connazionali precedenti.

Come detto ci troviamo in Spagna, negli anni ’50, in un clima di oppressione totale. Gabino (Alejandro Speitzer), unico figlio della ricca famiglia Falcón, ritorna a casa dopo 10 anni passati in Messico, accompagnato dall’amico e ballerino Lázaro (interpretato da Isaac Hernández, ballerino della English National Ballet). I genitori di Gabino hanno preparato un matrimonio combinato con la figlia di un socio d’affari del padre, la bella e ambiziosa Cayetana (Ester Expósito), ma ben presto le voci che girano sulle tendenze sessuali del giovane Falcón mettono a repentaglio il matrimonio, ma soprattutto il buon nome della sua famiglia. Tra segreti del passato, giochi di potere e amori clandestini i precari equilibri della famiglia vengono stravolti irrimediabilmente.

Le premesse sono buone, ma il prodotto finale lascia un po’ a desiderare. Qualcuno deve morire fin dall’inizio non convince. La colpa principale sembra ricadere sulla sceneggiatura, troppo debole e poco avvincente, sicuramente non adatta al format scelto da Caro. Una miniserie da tre episodi (50 minuti l’uno), creata per la fruizione streaming casalinga, richiedeva una maggiore forza narrativa. Il primo episodio risulta lento, incentrato principalmente sull’introduzione dei vari personaggi e del contesto, ma è un lusso che la miniserie non può permettersi. Mancano la suspense e la tensione proprie del binge watching contemporaneo. L’eccessiva lentezza della storia, porta ad una conclusione frettolosa, non in linea con il resto del racconto. Cercando il colpo di scena, perde di realismo e credibilità, cadendo nel non-sense nella scena finale.

Qualcuno deve morire più che un thriller d’epoca, appare come una soap opera decentemente mascherata. Il buon lavoro di ricostruzione storica, compiuto dai reparti di scenografia e costumi, è supportato anche da una coerente messa in scena, ma non bastano a nascondere la superficialità della trama e conseguentemente dei personaggi. Il regista sembra più interessato alla forma che al contenuto vero e proprio dell’opera. A risentirne è, appunto, la recitazione: personaggi poco convinti, che giocano spesso con trovate macchiettistiche, aumentando la generale sensazione di soap opera. Apprezzabile invece, è il tentativo di dare più spazio possibile alla figura femminile e al suo desiderio, il quale sfocia nelle tre protagoniste principali, con caratteristiche ed obbiettivi completamente diversi.  

In definitiva, Qualcuno deve morire non risulta all’altezza delle aspettative. Diversi sono gli elementi che potevano essere interessanti, ma rimane il rammarico di non averli affrontati in maniera diversa. Come abbiamo detto però, la messa in scena complessiva va premiata, e nonostante sia accompagnata questa volta da un contenuto troppo superficiale, ci lascia la convinzione che il cinema europeo stia lentamente prendendo una sua identità e un suo spazio nel panorama internazionale.

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