In occasione della giornata del 14 novembre, MedFilm Festival ha voluto offrire la possibilità agli studenti de La Sapienza di incontrare uno degli autori più interessanti che probabilmente l’Italia possa offrire in questo momento, Pietro Marcello, in una giornata-omaggio che poi lo ha visto protagonista anche in serata presso il cinema Savoy per le proiezioni de La bocca del lupo (trailer) e Bella e perduta (trailer). La masterclass, moderata da Gianfranco Pannone, ha visto il regista dialogare con i docenti Dario Cecchi e Stefano Velotti, che nei primi interventi hanno posto le basi del dialogo concentrandosi sull’importanza dello sguardo nel cinema di Pietro Marcello.
Il regista si è raccontato, nella prima parte dell’incontro, come una persona formatasi attraverso la pittura, che solo in un secondo momento ha scelto il cinema (“un ripiego”). Il primo amore, continua, è stato il documentario, uno strumento essenziale, che in futuro gli avrebbe permesso di imparare ad affrontare quelli che lui definisce imprevisti: dagli errori dei fuochisti, come è stato per Martin Eden, o l’incontro con personalità quali quelle di Arturo ne Il passaggio della linea o Enzo ne La bocca del lupo. Per Martin Eden, definito da Marcello una naturale evoluzione del suo cinema, sono state spese altre parole, che hanno toccato vari aspetti della produzione, su tutti una delle firme, se così potremmo definirla, del regista: l’utilizzo delle immagini di archivio, una soluzione in grado di offrire ulteriori chiavi di lettura nei confronti della pellicola (le immagini di Errico Malatesta, ad esempio). O anche il rapporto che quest’ultimo ha avuto con i protagonisti Luca Marinelli (che “è dovuto entrare nel mio mondo”, dice Marcello) e Carlo Cecchi (“un maestro”, che il regista rivela essere stato anche di aiuto nella direzione del resto del cast).
Con il passare del tempo, grazie anche ai numerosi interventi dei presenti, è stato tirato in ballo un dibattito sullo stato del cinema attuale dal punto di vista di un regista come Marcello, influenzato dall’esperienza di “film popolare” del cinema sovietico o dal neorealismo rosselliniano, che sottolinea la mancanza di militanza e ricerca in un’arte, come la definisce lui, “cialtrona” (un’arte surrogata, impura) di suo. Intervento che poi ha portato a discutere, forse inevitabilmente, dello statuto dell’immagine nell’era contemporanea, un’immagine “iperrealistica” e forse troppo esplicita, dice il regista, che non lascia spazio o non si appella più all’intelligenza dello spettatore per “riempire il vuoto”. Marcello in questa realtà si posiziona all’esterno: “il mio è un cinema fatto di sottrazioni e di vuoti. Non a caso amo registi come Bresson e Pelesjan” (al quale ha anche dedicato il documentario Il silenzio di Pelesjan, ndr).
Durato poco più di tre ore, l’incontro ha dato vita a una vivace discussione capace di attirare l’attenzione degli accorsi verso quello che potrebbe essere definito un outsider del cinema italiano, su una di quelle figure da tener d’occhio per il futuro.