#ROMAFF15: I Carry You With Me, la recensione

I carry you with me

Presentato alla quindicesima Festa del Cinema di Roma, I Carry You With Me (trailer) di Heidi Ewing è un perfetto esempio di come una determinata scelta di montaggio possa rovinare un film quasi perfetto.

Tratto da una storia vera, I Carry You With Me parte come racconto finzionale, ma vivido, di come sia essere poveri e omosessuali in Messico. La fotografia dà subito corpo, grazie alla poesia delle luci adottate e delle ottiche scelte, a un amore forte, passionale, ma anche fin troppo fragile. Tra le tinte rosa e azzurre, la macchina da presa si muove tuttavia senza tregua. Carrellate, piani sequenza, attacchi sul movimento. La regia si identifica subito con i suoi protagonisti. Persone in fuga da un mondo che, sebbene visto con la semplicità dei loro occhi, sembra non volerli mai accettare e chiedergli sempre di più. Tra continui buchi temporali, sbalzi tra diversi passati e cambi di punti di vista (tra Ivàn, più pragmatico, e Gerardo, più passionale), i due innamorati si trovano costretti a correre alla ricerca di un possibile futuro e di una possibile rivalsa contro un mondo nel quale è difficile rimanere abbracciati l’un l’altro. Su questo punto decide di far leva l’intero film, nato da una coproduzione tra il Messico e gli Stati Uniti.

Il fulcro diventa, quindi, la possibilità di rimanere aggrappati al proprio sogno, anche quando tutto si sgretola intorno. In tal senso, anche la scelta registica di usare veloci sequenze frenetiche, dilatando il set up, ha uno scopo ben preciso che si riscontra anche in un voice over dello stesso Ivàn: «Quando si sogna tutto passa più rapido, come fossero dei flash». E qui, arriva la nota dolente di I Carry You With Me. Infatti, la frase non termina qui: «Quando si sogna tutto passa più rapido, come fossero dei flash, ma il sogno americano passa a rallentatore». Sebbene d’impatto, si può da subito percepire la netta divisione tra il primo periodo e il secondo. Divisione che rispecchia il film stesso. Dalla frenesia e la calorosità poetica della prima parte, si passa a una seconda più statica, quasi stantia ed estremamente fredda. Da una prima parte “semi-finzionale”, si viene trasportati nella realtà, in un documentario. Gli attori escono dalle quinte ed entrano i veri Ivàn e Gerardo.

Tale scelta da una parte enfatizza perfettamente l’amarezza del messaggio che vuole far passare, ma, ritmicamente, crea un enorme divario che svuota l’intero film. Infatti, la potenza dell’amore di Gerardo, che si trova a continuare, anche dopo che le cose sembravano essersi messe nel verso giusto, a sacrificarsi per Ivàn, a cercare disperatamente di “farsi portare con sé” (forse titolo più pregnante rispetto al “ti porto con me”), rischia di perdersi in una sequenza troppo distaccata e fredda. Si ha la paradossale sensazione che la realtà documentaristica non faccia immergere ancora di più lo spettatore nel dolore di questa storia, ma anzi che lo prenda bruscamente e lo butti in un lago gelato in pieno inverno. E se questa poteva comunque essere un ulteriore messaggio interessante, rimane però qualcosa di espresso troppo flebilmente e forse in maniera troppo acerba e confusa.

I Carry You With Me è, dunque, un docufilm poetico ma anche contrastante. A causa di una dicotomia mal gestita, fin troppo verbosa e didascalica, rischia, infatti, di far perdere la propria visività e corposità, lasciando lo spettatore solo, disorientato ed elemosinante di essere portato via dalle prime immagini, così reali, così forti nella loro fragilità.

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