#Cannes77: Megalopolis, la recensione del film di Francis Ford Coppola

megalopolis, recensione del film

Il film Megalopolis (trailer) di Francis Ford Coppola potrebbe essere destinato ad essere l’opera più discussa, amata, odiata, rifiutata, osannata, tormentata e memorabile del 77° Festival di Cannes. Il film che Coppola ha impiegato 40 anni a realizzare, mettendo in gioco le sue proprietà e spendendo personalmente 120 milioni di dollari, è un evento unico a prescindere dal suo risultato. Un film memorabile a prescindere dalla sua bellezza canonica ed un’opera che già fin da ora è destinata ad essere studiata e discussa nelle tesi, nei saggi e nelle pagine di Storia del Cinema.

Francis Ford Coppola è dagli anni ’70 un nome iconografico del cinema americano, le sue opere culto, Il Padrino ad Apocalypse Now, sono da sempre oggetto di studio nel settore. Questa volta, però, il regista ha superato ogni regola e convenzione, e per questa ragione sembra destinato a vedere il suo ultimo film amato oppure odiato, senza compromessi.

Megalopolis è ambientato nella città immaginaria di Nuova Roma (in sostanza è New York con varianti fantasiose) in un futuro distopico dove l’Impero Romano si è evoluto in funzione del capitalismo, portando avanti le antiche tradizioni che consentono a poche famiglie potenti di controllare la città e l’impero. Abbiamo un vecchio patriarca di nome Hammilton Crassus III° interpretato dal fantastico John Voigt, un giovane console architetto amato e stimato dal popolo che confida in lui per il futuro di nome Caesar Catilina interpretato da Adam Driver ed un giovane ambizioso e ambiguo che sembra una fusione fra Nerone e Caligola di nome Clodio Pulcher interpretato da Shia LaBeouf. In un triangolo di potere maschile giocano le loro migliori carte l’ambiziosa diva della tv Wow Platinum interpretata dalla magnetica Aubrey Plaza e la candida Julia Cicero interpretata da Nathalie Emmanuel, destinata a lottare a fianco di Catilina per il trionfo del bene contro l’ambizione e l’avidità che sfrutta ed umilia i cittadini di Nuova Roma.

L’ambientazione sfrutta le simbologie della Roma antica trasformate in sofisticate creazioni visive colossali, come statue giganti che si muovono e crollano disperate o aquile d’oro immense e volanti oppure ancora corse con le bighe e gladiatori post-moderni; immagini suggestive ma lontane dalla moda o dalle tendenze. Il film in questo è l’antologia di soluzioni visive contrastanti con i modelli brevettati ed omologati del cinema commerciale. Si pone nella posizione di opera costosa e colossale ma difficile da vendere ad un pubblico pigro e conservatore. In questo mondo favoloso e cupo si muovono i protagonisti della storia, personaggi dal sapore shakespeariano con toghe fatte da tessuti e colori moderni adatti alle giacche di oggi, uno strano borsalino in testa e tecnologie fantasiose che evocano più la magia che la fantascienza.

megalopolis, la recensione del film

Il film è anche anti-streaming, impossibile da mostrare nella sua integralità sul piccolo schermo o sui propri dispositivi privati. Ad un certo punto dell’opera lo spettatore assiste alla caduta di un vecchio satellite russo del periodo comunista, una bomba addobbata a falce e martello che imprevedibilmente devasterà la città del tutto simile a New York (questa fu una delle ragioni che portarono Coppola desistere con il progetto dopo l’undici settembre). Dopo le scene di distruzione lo schermo dissolve al nero, improvvisamente sul palco della sala compare una persona con una luce in mano, non siamo nel film bensì nella realtà di noi spettatori. Quella persona è di carne ed ossa e si avvicina ad un microfono cominciando a dialogare sincronizzato con Adam Driver sul grande schermo.

Si tratta di una conferenza stampa in corso dopo la tragedia che devasta la città, un momento in cui le dichiarazioni del protagonista aiutano a capire il senso dell’opera. Dopo una seconda dissolvenza l’attore in carne ed ossa svanisce e con lui il microfono. Coppola introduce un momento di teatro dal vivo che trasforma l’opera, rendendola impossibile da riprodurre senza l’ingaggio di un attore per la scena dal vivo, un corpo vivo che sostituisce il pianoforte del cinema muto e che rende imprescindibile la presenza umana sulla scena aldilà della copia digitale. Forse è il modo con cui Coppola si oppone all’intrattenimento delle intelligenze artificiali e alla crisi dello spettacolo in sala.

In realtà, il film di Coppola sembra mostrare nella sua favola dark una variante spregiudicata e criminale del pensiero monetarista di Milton Friedman. Nella storia il potere attende la tragedia, la decadenza e la crisi per poter ricostruire e riedificare a vantaggio di pochi e sulla pelle di molti. Coppola sembra aver letto anche i libri e gli articoli sulla Shock economy firmati da Naomi Klein o da Noam Chomsky e averne preso ispirazione per un modello capitalista aggressivo che l’eroico Catilina dovrà combattere per realizzare la sua società utopica.

Le immagini più famose di Coppola a Cannes sono quelle di un regista alto e robusto, massiccio e statuario, pieno di ego e vulcanico, un titano che affronta il festival forte della sua megalomania e della sua genialità. Contrariamente al luogo comune che ricorda il regista della New Hollywood in Europa, quelle viste dal tappeto rosso e rilasciate dalla redazione di Brut mostrano un uomo magro, smunto ingobbito e che fatica a salire le scale del tappeto rosso appoggiandosi da un braccio ad Adam Driver e dall’altro braccio ad un bastone, il gigante sembra svanito fino al momento di rilasciare alla giornalista della rivista francese una dichiarazione. La voce aggressiva e tonante del Coppola che ricordiamo ora è più debole, il timbro è affaticato ma le parole sono ancora tuoni e come un tempo. In un momento così strategicamente mondano indica la chiave di lettura del suo film, disturbando l’equilibrio e mostrando subito che il guerriero che cambiò l’industria americana è ancora vivo.

Coppola denuncia il sistema produttivo di Hollywood come burocratico, amministrativo, una struttura che nella sua aridità e praticità sembra un organismo militare dove il controllo delle risorse è più importante del saper rischiare. In questo la lettura del mondo distopico del film sembra essere lo specchio delle sue lotte come artista nel sistema americano. Coppola deve il suo successo ad un tempo d’oro dove fare film significava assumersi dei rischi e osare racconti e soluzioni narrative inesplorate ispirandosi al cinema neorealista italiano ed alla nouvelle vague francese. Il discorso di Coppola, fatto pochi minuti dopo la fine della prima proiezione del film, ci incoraggia nell’analisi della sua opera. Il regista dichiara che il finale del film è il suo desiderio più profondo, il suo invito all’umanità a lasciare un pianeta stupendo alle generazioni future, costruire un mondo per i bambini, usare e assecondare la parola più bella che secondo lui abbiamo nel nostro vocabolario: la speranza. Non potrebbe esserci film più scomodo e meno commerciale di così e questo forse al di là del gusto e delle opinioni.

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