Laggiù qualcuno mi ama, la recensione: Troisi come Truffaut secondo Martone

Laggiù qualcuno mi ama

In occasione del settantesimo compleanno di Massimo Troisi un vero e proprio tsunami di articoli, servizi televisivi e documentari ha invaso il panorama della critica cinematografica italiana. E se a dicembre Lucky Red aveva anticipato i tempi distribuendo il sorprendente Il mio amico Massimo di Alessandro Bencivenga, a febbraio altri due documentari vedono la luce delle sale, Da domani mi alzo tardi di Stefano Veneruso e, ovviamente, Laggiù qualcuno mi ama (trailer) di Mario Martone.

Il regista ha dichiarato che il progetto è nato prevalentemente da Mauro Berardi, storico produttore di Troisi, che fece leggere a Martone una sceneggiatura scritta da Anna Pavignano sulla vita di Troisi. “Un film però dove dovevo prendere un attore ad interpretare Troisi non l’avrei mai fatto e quindi solo dopo abbiamo iniziato a parlare di un documentario” ha precisato Martone. Così è venuto fuori Laggiù qualcuno mi ama. Rispettando le oscillazioni qualitative che contraddistinguono la filmografia del regista napoletano, possiamo dire di trovarci di fronte a uno straordinario ritratto del comico di San Giorgio a Cremano.

In quasi 130 minuti Martone ci regala un’agiografia appassionata e non didascalica di Troisi, evitando testimonianze melense e commozioni esagerate tipiche di certe interviste ai suoi collaboratori, insistendo sullo stile cinematografico e sulla genesi delle sue pellicole. Il punto forte del film sono alcune battute e trovate inedite del grande comico, appuntate su alcuni fogli e recitate ex-novo da Martone e da altri figuranti, imitando il modo di parlare di Troisi. Ci ritroviamo insomma di fronte a un tentativo riuscito di restituire a quelle battute la giusta intonazione troisiana. Ma la cosa più sorprendente del documentario è l’accostamento di Martone tra il comico e François Truffaut. Si tratta di parallelismi eccezionali e brillanti, uno su tutti la corsa attorno al palazzo di Ricomincio da tre messa a confronto con quella di Jules e Jim.

Dal commento di Martone viene quindi fuori che Troisi non era solo un comico eccezionale, ma anche un regista di primo livello, come del resto tutti i comici della sua generazione, da Benigni a Nichetti, che dietro la cinepresa hanno dato risultati ben superiori a quelli dei mattatori della commedia all’italiana come Sordi e Manfredi. Nonostante queste dichiarazioni d’amore da parte di Martone, il documentario non sembra dare la stura a riflessioni retoriche e scontate sull’immagine ormai mitizzata del grande comico napoletano. E gli interventi di Paolo Sorrentino, Goffredo Fofi e della stessa Pavignano si guardano bene dal fomentare quella celebrazione eccessiva tipica dei documentari girati in occasione delle ricorrenze.

Non manca poi il versante politico dove Martone specifica lo spirito antifascista del comico, abbondantemente e giustamente esternato nel film Le vie del signore sono finite. E se è vero quindi che su Troisi è stato detto quasi tutto sul piano interpretativo, meno lo è stato sulla ricostruzione della genesi delle sue opere. Il documentario di Martone ci riesce, colmando finalmente una piccola lacuna che a oggi ci appariva inaccettabile. Come sono nate quelle battute? Come ha fatto Troisi ad avere quelle intuizioni? Tutte domande lecite da parte di studiosi e appassionati che trovano risposta negli appunti manoscritti inediti, mostrati disinvoltamente dalla Pavignano. Mancano certo personaggi di grande importanza come Roberto Benigni, Enzo Decaro e Massimo Bonetti, ma anche Giuliana De Sio, Lello Arena e Carlo Verdone (questi ultimi due presenti, comunque, nel documentario di Bencivenga). Tutte assenze in parte comprensibili per l’elevata inflazione di interviste rilasciate da questi personaggi negli anni passati sull’argomento “Massimo”.

Il documentario, presentato in anteprima al Festival di Berlino e in alcune città italiane il 19 febbraio, giorno del compleanno di Massimo Troisi, è stato già accolto con entusiasmo e questo dimostra perfettamente quanto gli italiani e le giovani generazioni non si siano scordate dell’attore e che il suo estro artistico, malgrado la brevità della sua carriera, continuerà ad essere ancora per molti anni un’autentica lezione di cinema italiano.

Laggiù qualcuno mi ama è al cinema dal 23 febbraio.

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