Cosa succede quando al racconto di una storia inenarrabile concedi la forza preponderante delle immagini? I rischi di creare un mostro sono altissimi, le possibilità di trovare nella rappresentazione di un dolore profondo la sua risoluzione molto poche. Con Io Capitano (trailer), presentato a Venezia tra i film del Concorso, Matteo Garrone si lancia nell’ardua operazione di mostrare al mondo una gravissima ferita del nostro presente, quella delle morti degli immigrati che tentano la fuga dal continente africano verso l’Europa. In un momento in cui le assurdità sul fenomeno immigratorio proliferano a ritmi incessanti, il film si pone forse l’obiettivo di metterle a tacere una volta per tutte, e lo fa con estrema maestria ed eleganza, se è possibile parlarne in questi termini.
Il giovane Seydou (Seydou Sarr), appena sedici anni, è il nostro Virgilio nell’avventura che ci porterà da un coloratissimo villaggio del Senegal alle sponde italiane del Mediterraneo. La sua vita è semplice e scandita dalle affettuosissime relazioni con la madre, le numerose sorelle ed il cugino Moussa (Moustapha Fall). Sono proprio questi legami affettivi a portare lui e Moussa dall’altra parte del mare. Seydou non perde mai la speranza, ha una chiamata da fare appena arrivato e non può tardare un minuto di più.
Garrone non omette niente, non lascia nulla all’immaginazione di chi guarda: troppo abbiamo immaginato e fantasticato sulle sorti di queste persone, troppe congetture, troppe idealizzazioni sono state portate avanti. Persino i momenti più macabri all’interno delle prigioni libiche passano davanti ai nostri occhi con disinvoltura, e dopo le torture la nostra tortura è finita, le acque si calmano.
Non mancano tuttavia i momenti onirici cari al regista, ancore di salvezza per un pubblico vessato dalla sofferenza. Il sogno diventa necessario, soprattutto per Seydou che deve evadere il male che lo circonda e visualizzare in qualche modo un’alternativa. La scena del volo della donna nel deserto lascia a bocca aperta e costringe a un silenzio fisico ed emotivo: coloro che concludono l’impresa e arrivano in Europa sono forse quelli che sono riusciti a volare? O si tratta di semplice casualità?
Seydou Sarr e Moustapha Fall sono credibilissimi e di un’intensità disarmante. Non strafanno, non sono inutilmente melodrammatici, sono sinceri. Anche la sceneggiatura è asciutta ed essenziale. Non c’è spazio per il dramma perché la storia ha la stessa fretta di essere raccontata che hanno i personaggi.
Ancora una volta il cinema di Garrone sconfina nell’arte e nella fiaba ed il regista si rende illustratore di un libro d’avventura. La politica si infiltra inevitabilmente in questa storia, come d’altronde in ognuno dei film del regista, e lo fa proprio attraverso le immagini: poco o nulla è lasciato al discorso, che in un film del genere non ha più senso di esistere. Con Io capitano il cinema afferma la sua capacità di dare vita alle storie, di qualsiasi intensità esse siano, e portarle con estrema semplicità a tutti coloro che vogliono ascoltarle.