#Venezia80: Memory, la recensione del film di Michel Franco

Memory

Sylvia (Jessica Chastain) è una madre single con dei problemi di alcolismo. Dopo tredici anni in un gruppo di riabilitazione, è finalmente pronta a tornare ad avere una vita normale insieme alla figlia adolescente Sara (Elsie Fischer). Una sera, dopo una festa, Sylvia viene seguita fino a casa da un uomo. Al risveglio, il mattino dopo, lo trova addormentato davanti la sua porta. Si chiama Saul (Peter Sarsgaard) e soffre di demenza, condizione che gli causa amnesia e stati confusionali. Saul non ricorda perché l’ha seguita fin lì; al contrario, Sylvia ricorda bene il suo volto: è quello di uno dei ragazzi che abusavano di lei quando era una ragazzina.

È questo l’incipit di Memory, nuovo film di Michel Franco in Concorso alla 80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il regista messicano torna al Lido a tre anni dalla sua prima volta, quando con Nuevo orden (seguito l’anno successivo da Sundown) si era aggiudicato il Gran premio della giuria. Questa volta si discosta dai temi di critica sociale per affrontare un discorso sul peso del ricordo e dei traumi, attraverso la storia di due personaggi che vivono per cause differenti ai margini della società e della propria vita.

Sylvia e Saul sono le facce opposte della stessa medaglia: una non riesce a dimenticare, l’altro non può ricordare. La donna vorrebbe metterlo con le spalle al muro, ottenere a distanza di decenni le scuse che non ha mai ricevuto; ma Saul non ha alcuna memoria di lei né delle proprie azioni. Questo insinua in lei il dubbio, la volontà di scoprire il passato di lui e così approfondire la sua condizione. I due finiranno inevitabilmente per avvicinarsi, aprendo la porta a ferite sepolte dietro il silenzio del tempo.

Oltre al tema del ricordo Memory riflette in modo pressante sul concetto di trauma. Il personaggio di Sylvia è perseguitato dal trauma poiché l’ambiente in cui ha vissuto le ha impedito di elaborarlo: le violenze subite da ragazza sono infatti state soltanto il seguito degli abusi perpetrati da suo padre, di fronte al silenzio della madre e della sorella. In questo senso le è stato tolto il riconoscimento del passato, e di conseguenza la possibilità di affrontarlo. Da qui il rifugio nell’alcol, la rinuncia alla vita, e l’utilizzo del trauma come scudo per proteggere se stessa e sua figlia. All’inizio del film la donna intraprende un viaggio di difficile rinascita, di ritorno alla vita e di apertura verso il mondo esterno, verso le relazioni e le emozioni. In questo, l’incontro con un uomo incapace di ricordare – quindi svincolato dal peso del passato e dei ricordi – le permette di trovare un appiglio sul presente, di essere vista in ogni momento per quello che è lei in quel momento stesso.

Da questo punto di vista Saul si trova in una situazione totalmente opposta, dal momento che non è in grado di vedere il proprio passato, dipendendo dalla presenza di persone intorno a sé che lo rammentino al suo posto. I protagonisti di Memory sono due esseri complementari, uniti dall’incapacità di vivere a pieno ciò che scorre di fronte ai loro occhi, chi per eccesso (di memoria), chi per difetto. In una simile contrapposizione, in questo spettro enorme di distanza tra i due, si muove l’azione di Sara, la figlia di Sylvia. La sua figura funge quasi da fulcro nel rapporto tra i due personaggi, essendo l’unica in grado di posizionarsi interamente nel presente, l’unica capace di agirvi concretamente. La ragazza è in grado di farlo poiché libera dal trauma: la madre ha speso le sue uniche energie a proteggerla dal mondo, impedendo che anche su di lei si accumulasse il peso dei ricordi (non a caso il suo personaggio non ha quasi passato, non si parla né di lei da piccola né si conosce l’identità del padre).

Nella storia di Memory troviamo, al contempo, l’immagine del periodo pandemico da poco passato. Michel Franco – che ha scritto la sceneggiatura proprio in tempo di Covid – sceglie di raccontare i drammi di due personaggi post-traumatici, due persone che hanno sintomaticamente smesso di vivere. Da una parte si posiziona la presenza del ricordo, che impedisce di sorreggere la propria azione; dall’altra l’assenza del ricordo, che invece non permette a quell’azione di stare in piedi. In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad una drammatica vicenda umana, che costringe a riflettere sul peso della memoria e sulla sua difficile funzione di mediazione nelle nostre possibilità di vita.

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