Il sacro male, la recensione: il fanatismo è la causa, il dubbio la cura

Il sacro male

Partendo da Rosemary’s Baby (1968) di Roman Polanski, passando per L’Esorcista (1973) di William Friedkin e arrivando fino ai film della serie The Conjuring, abbiamo visto – con risultati alti e bassi – la possessione di qualunque persona o cosa: case (The Conjuring, la serie The Haunting), bambini (Insidious, Sinister), una macchina (Christine), bambole varie (La bambola assassina, Annabelle) e chi più ne ha più ne metta. Anche andando oltre una dimensione prettamente cristiana è possibile trovare pellicole che trattano l’argomento, si pensi a The Vigil (2019) o Midsommar (2019). Ma Evan Spiliotopoulos, in sala dal 20 maggio con il suo film Il sacro male (qui il trailer), prodotto dalla Ghost House Pictures di Sam Raimi (la trilogia di Spider-Man) decide di alzare decisamente l’asticella puntando nientepopodimeno che alla Santa Vergine Maria.

Gerry Fenn (Jeffrey Dean Morgan, The Walking Dead) è un giornalista a caccia di scoop di carattere paranormale caduto in disgrazia in seguito alla scoperta del fatto che inventava storie per il proprio tornaconto personale. Una sera, dopo l’ennesimo falso allarme e il ritrovamento di una misteriosa bambola, s’imbatte in una ragazza che prega ai piedi di un albero. La ragazza è Alice, una giovane che dopo aver visto la Vergine Maria inizia a compiere miracoli, creando attorno a sé una schiera sempre più nutrita di fedeli che la idolatrano.

La pellicola mostra pregi e difetti. Davvero interessanti sono i presupposti dai quali parte la storia e le questioni che mette sul tavolo: la doppia faccia della grazia divina; l’interesse nel lucrare (anche con il merchandising) su presunti miracoli e sulla fede delle persone, e come questa col tempo si evolvi in cieco fanatismo; l’impatto e soprattutto l’importanza che viene data alla narrazione “più adatta” di un evento per portare quante più persone a crede in quell’evento (in questo senso è interessante notare come il protagonista venga allontanato dal mondo giornalistico per aver fatto la stessa cosa che agli uomini di fede viene riconosciuta come merito); ed infine il dubbio, e come questo possa essere forse l’unico vero antidoto per continuare ad avere uno sguardo obiettivo sul mondo senza perdere il contatto con la realtà.

Ma nonostante le premesse promettenti la narrazione invece si dimostra subito molto convenzionale e priva di mordente. Il sacro male è una pellicola figlia e debitrice di James Wan e dei suoi vari The Conjuring e Annabelle, per questo motivo abbondano i classici jumpscare, le porte che scricchiolano, teli bianchi con qualcuno che ci respira sotto, lamenti in stanze buie, primi piani sui personaggi ma perfettamente decentrati in modo da permettere allo spettatore di vedere in lontananza il mostro di turno che se ne sta zitto e buono in un angolo ad osservare senza fare niente.

Si tratta di meccaniche che (tranne per alcune eccezioni) sono la regola per la stragrande maggioranza, se non addirittura per la totalità, degli horror mainstream pensati per un ampio consumo. L’unico modo pensato per mettere paura allo spettatore è quello di fargli saltare in faccia il mostro tre o quattro volte di fila prima che sparisca. Questa dinamica si porta avanti fino all’immancabile scontro finale dove riusciamo a vedere bene l’abominio per pochi minuti senza però riuscire ad avere un reale senso di minaccia, senza temere veramente per l’incolumità del personaggio che sappiamo arriverà incolume fino alla fine perché così è.

Il sacro male è un film per il largo pubblico, il classico horror di stampo religioso che mette in scena l’eterna battaglia tra bene e male, e che nonostante le interessanti premesse dalle quali parte non riesce ad emergere dalla folta schiera di pellicola alla quale appartiene.

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